Lavoratori pericolosi
Per l'omicidio di Kirillov Mosca arresta un uzbeco. Che ne sarà dei migranti dell'Asia Centrale
La condizione della comunità centro asiatica è sempre stata precaria nei grandi centri urbani della Federazione russa, dove a migliaia si spostano ogni anno in cerca di lavoro. Oggi i controlli sono più rigorosi e il clima è appesantito dalle possibile ricadute dell'attentato al generale russo
La notizia che a compiere materialmente l’attentato che ha ucciso il generale russo Igor Kirillov sarebbe stato un cittadino dell’Uzbekistan al soldo di Kyiv ha scosso la comunità centro asiatica in Russia. L’omicidio ha lasciato sul terreno il 17 dicembre scorso a Mosca il funzionario militare russo più alto in grado dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina e i contraccolpi dell’eventuale coinvolgimento – il condizionale è d’obbligo – del ventinovenne uzbeco rischiano di farsi sentire in maniera molto forte sui lavoratori provenienti dall’Asia Centrale. La loro condizione è sempre stata precaria nei grandi centri urbani della Federazione russa, dove a centinaia di migliaia si spostano ogni anno in cerca di un’occupazione e di stipendi più alti di quelli che riescono a ottenere nei loro paesi di provenienza. Le discriminazioni, i raid delle forze dell’ordine – da quasi tre anni a questa parte anche per individuare nuove reclute da spedire al fronte nella guerra in Ucraina sulla base della promessa di facilitare l’ottenimento della cittadinanza russa – e la diffidenza sono all’ordine del giorno.
Una situazione già peggiorata significativamente dopo l’attentato dello scorso marzo al moscovita Crocus City Hall, ufficialmente compiuto da un commando di terroristi provenienti dal Tagikistan. I numeri dimostrano il crinale sempre più stretto su cui si muovono i lavoratori migranti presenti in Russia: stando ai dati del ministero dell’Interno russo, a oltre 140 mila persone è stato vietato l’ingresso nel paese da gennaio a luglio di quest’anno e quasi 100 mila migranti sono stati espulsi, un aumento del 53 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Una tendenza che, come detto, si è acuita a partire dal 22 marzo, data dell’attacco che ha causato 144 vittime. Questo avviene nonostante l’economia russa abbia assoluto bisogno dei lavoratori provenienti soprattutto dall’Asia Centrale e dall’area del Caucaso: il tasso di disoccupazione in Russia è infatti ai suoi minimi storici, al 2,3 per cento, segno che c’è grande necessità di forza lavoro, soprattutto per cercare un rimedio alla mancanza di manodopera dovuta anche al conflitto in corso sul fronte ucraino.
Subito dopo la diffusione della notizia relativa alla nazionalità di quello che sarebbe l’esecutore dell’attentato a Kirillov, sono iniziate ad arrivare testimonianze da parte di cittadini uzbechi, tagichi e kirghisi presenti in Russia, che parlano di un aumento dei controlli nei loro confronti e di un clima che si è fatto fin da subito più pesante. Il timore è che a cavalcare la notizia siano anche i rappresentanti politici e i giornalisti russi più estremisti, eventualità che potrebbe rendere la situazione ancora più esplosiva. Non è un caso, quindi, che il presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev, si sia affrettato a parlare telefonicamente con il presidente russo Vladimir Putin. Le due cancellerie hanno posto l’accento soprattutto sulle condoglianze prestate da Mirziyoyev all’inquilino del Cremlino e sulla riaffermazione da parte dei due dell’importanza di collaborare sul fronte dell’antiterrorismo e della condivisione di informazioni sensibili. Leggendo tra le righe, è evidente però come Vladimir Putin abbia voluto tirare le orecchie all’omologo uzbeco chiedendo un maggiore controllo interno mentre, al contrario, il leader del regime di Tashkent abbia probabilmente chiesto rassicurazioni sul futuro dei lavoratori dell’Uzbekistan presenti in Russia.
Una delle possibili ricadute della vicenda di Igor Kirillov è un ampliamento delle opzioni sul tavolo per i migranti economici dell’Asia Centrale. Già ora, ad esempio, circa 90 mila lavoratori uzbechi e 15 mila kirghisi operano legalmente in Corea del sud e a fine novembre il governo uzbeco ha dichiarato di voler lavorare affinché 200 mila cittadini dell’Uzbekistan trovino occupazione in paesi avanzati dal punto di vista economico. Questi dati si trovano ancora molto lontano dalle statistiche relative alla realtà russa – 411 mila lavoratori kirghisi presenti attualmente, un dato però in forte calo rispetto al 2022 – ma sono comunque indicativi di un trend che potrebbe allargarsi.