(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

Come Israele ha vinto la guerra: Netanyahu rivendica le sue scelte

Giuliano Ferrara

In un’intervista il premier si dice sicuro dei risultati già ottenuti, con un duro colpo alle forze nichiliste dell’islamismo radicale. Tiene in dovuto conto il costo umano del conflitto. Tace sul  ruolo degli europei, il buco nero di tutta la faccenda

Netanyahu ha dato un’intervista a Elliot Kaufman, del Wall Street Journal, e gli ha raccontato per filo e per segno come ha fatto a rovesciare le sorti di una guerra contro Israele che, con l’eccidio del 7 ottobre 2023, era partita mettendo lo stato ebraico in condizioni di partenza peggiori di quelle della guerra dello Yom Kippur. Il primo ministro è sicuro dei risultati già ottenuti e a suo giudizio la mappa del medio oriente è cambiata, con un duro colpo alle forze nichiliste dell’islamismo radicale guidate e foraggiate e coordinate dall’Iran. Rivendica la giusta scelta degli obiettivi e dei tempi di intervento di aviazione ed esercito, le decisioni cruciali come l’ingresso di terra a Gaza, la lunga battaglia coronata dalla presa di Rafa e del Phildelphi Corridor a sud, infine l’apertura del fronte del nord con i colpi duri a Hezbollah e l’eliminazione di Nasrallah, che secondo il premier di Gerusalemme era diventato non più un mero prolungamento del regime di Teheran ma la guida attiva dell’asse cosiddetto della resistenza, una reincarnazione di Qassem Soleimani, il generale iraniano eliminato in uno strike americano del 2020.

 

Netanyahu passa in rassegna i sostegni che ha ricevuto, rendendo omaggio al coraggio di Biden che si è recato per la prima volta in un paese in guerra per portare solidarietà, e i limiti dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti, fissati dal problema elettorale in America e dalla vasta campagna internazionale, costruita intorno al mito di Hamas resistente e di Tsahal genocida. Sostiene di aver superato i veti e i boicottaggi e gli embargo diretti a fiaccare la strategia israeliana con la decisione politico-militare autonoma, nel nome della sicurezza e sopravvivenza di Israele come stato sovrano capace di difendersi. E conclude provvisoriamente dicendo che con la caduta di Assad e la distruzione dei suoi arsenali, resa possibile dall’invasione del Libano e dalla destrutturazione di Hezbollah, la principale forza combattente a sostegno degli assadisti, e con la sterilizzazione della forza del regime di Teheran attraverso i bombardamenti mirati alle sue capacità missilistiche, il fronte che persegue l’annientamento di Israele è stato scompaginato. Netanyahu si sente abbastanza sicuro della possibilità, grazie anche all’appoggio forte dell’amministrazione americana entrante, di un accordo per gli ostaggi ancora nelle mani dei sequestratori, ma ribadisce che, se è possibile una tregua, la fine della guerra non ci sarà senza la vittoria totale su Hamas, che in molti gli hanno rimproverato di cercare come una chimera. Quando Israele era ancora fortissima nel circuito internazionale, una prima tregua, dice il premier, fu possibile, ma dopo la ripresa delle ostilità, in cui Sinwar non credeva, Hamas ha scelto di fare leva sull’isolamento di Israele nelle istituzioni internazionali e nell’opinione pubblica, rivendicando apertamente i sacrifici umani di un popolo tenuto in ostaggio come scudo e contabilizzato nel martirio dei civili nonostante gli sforzi di Tsahal per evitare le stragi e consentire gli spostamenti sul terreno, come avvenuto a Rafah. Ora la ricerca di un equilibrio pacifico diventa possibile, in prospettiva, secondo la linea degli accordi di Abramo e con un punto interrogativo sul destino ultimo del regime prenucleare degli Ayatollah (su questo Netanyahu usa espressioni criptiche).  

 

L’intervista è un documento impressionante per lucidità e razionalità politica. Spiega in modo semplice come sono andate le cose, l’intreccio tra iniziativa israeliana e crisi internazionale, i diversi giochi e trucchi, e tace sul ruolo degli europei, tace saggiamente sul buco nero di tutta la faccenda. Colpisce il fatto che il premier ripercorra in modo persuasivo esattamente quello che abbiamo visto e commentato in questo anno e più di risposta nazionale eroica al pogrom e al disegno che lo aveva reso possibile con l’apertura simultanea di fronti di assedio. Colpisce il fatto che il costo umano del conflitto sia tenuto in dovuto conto, attribuendone la responsabilità a chi aveva aggredito Israele e si era fatto scudo del proprio popolo per paralizzarne la reazione, ma badando al sodo, al compito di leadership che Netanyahu o chiunque altro al suo posto avrebbe dovuto assumersi e si è assunto in funzione dell’efficacia politica e militare della reazione all’aggressione. Per chiarire le idee ai critici prevenuti e ideologici l’intervista del premier è utile, almeno quanto è utile lo sketch di un comico americano: “Non capisco, quando sparano contro Israele è resistenza, quando Israele risponde al fuoco è genocidio”.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.