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L'editoriale del direttore

Con meno sensi di colpa l'occidente sa opporsi ai regimi del terrore

Claudio Cerasa

Non sempre si vince per ko. Ma la caduta di Assad, la debolezza della Russia, la possibilità di isolare l’Iran dimostrano che le dittature sono più fragili del previsto. E che l’occidente, se solo crede in sé stesso e lo vuole, è in grado di farvi fronte e arginarle

La morale è semplice: non sempre si può vincere per ko, ma opporsi al regime del terrore si può. C’è un filo rosso che collega come d’incanto i principali teatri di guerra che nell’anno che si sta chiudendo hanno smosso le nostre coscienze. Quel filo rosso non riguarda un tema collegato alle strategie militari, agli equilibri dell’occidente, ma riguarda un tema spesso sottovalutato, spesso trascurato, che ha a che fare con una quotidianità nuova, sorprendente: la debolezza, inaspettata, delle dittature. Il Wall Street Journal, pochi giorni fa, ha notato giustamente che la caduta di Assad, qualunque ripercussione possa avere, è un promemoria formidabile sulla fragilità dei regimi del terrore e nel caso specifico i regimi da considerare sono due. Il primo, ovviamente, è quello di Assad. Il secondo, naturalmente, è quello del suo grande difensore, la Russia. Ce ne sarebbe anche un terzo, se vogliamo, ed è quello del suo vecchio sponsor numero uno, ovvero l’Iran.

 

Ruslan Pukhov, un analista della difesa russo che anni fa aveva salutato l’intervento militare russo in Siria come un enorme successo, recentemente, nota ancora il Wsj, ha cambiato idea e sul quotidiano russo Kommersant ha clamorosamente criticato Mosca per “aver protetto il regime decadente e delegittimato di Assad” e ha concluso che l’impresa siriana ha dimostrato “i grandi limiti della Russia come grande potenza e della sua politica interventista all’estero, perché Mosca ha dimostrato di non avere sufficienti forze militari, risorse, influenza e autorità per un intervento efficace con la forza al di fuori dell’ex Unione sovietica”. La Siria, naturalmente, è solo un tassello di un mosaico più grande al centro del quale vi sono due temi simmetrici che riguardano da un lato Israele e dall’altro l’Ucraina. In medio oriente, seppure in modo spesso brutale, Israele ha dato un contributo incredibile all’indebolimento dei regimi terroristici che minacciando Israele minacciavano anche l’occidente, e la caduta di Assad è figlia di un indebolimento ancora più importante che è quello che riguarda la piovra iraniana con tutti i suoi tentacoli del terrore. Aver indebolito Hezbollah, che difendeva Assad, ha permesso che Assad diventasse vulnerabile e aver indebolito l’Iran, con tutti i suoi proxy, dopo aver spazzato via i leader di Hamas, ha creato le condizioni per spostare l’asse del medio oriente più lontano dai nemici dell’occidente, ovvero l’Iran, e più vicino agli alleati dell’occidente, come i Sauditi, destinati ad avere un ruolo centrale negli equilibri del medio oriente del futuro, sia per gestire la transizione a Gaza, quando sarà, sia per evitare che la caduta di un regime, quello di Assad, possa dare spazio eccessivo a un altro asse pericoloso come quello guidato dalla Turchia e dal Qatar. Nel nuovo mondo, nel mondo che sarà, aver permesso a Israele di difendere la sua esistenza ha coinciso con l’arretramento della più grande macchina del terrore esistente oggi nel mondo, dopo quella russa, ovvero l’Iran. E specularmente, per arrivare in Europa, aver sostenuto la difesa dell’Ucraina, in questi tre anni, ha permesso all’occidente di ridimensionare, e arginare, la minaccia putiniana. Qualche giorno fa, intervistato dal quotidiano francese Parisien, Volodymyr Zelensky ha fatto un’ammissione, dolorosa, e parlando del Donbas e della Crimea ha detto quanto segue:  “Non abbiamo la forza per riconquistare questi territori. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative”. La frase di Zelensky lascia intendere che anche l’Ucraina si prepara a entrare in  una fase diversa, quella dei possibili negoziati con la Russia, e quando si arriverà a quel momento, che potrebbe non essere lontano, per misurare il successo dell’occidente, rispetto al sostegno offerto in questi anni a Kyiv, non basterà pensare alla porzione di territorio conquistato in questi anni dalla Russia ma sarà necessario concentrarsi anche su un altro tema su cui misurare i successi dell’Ucraina, e dell’occidente.

 

Putin voleva conquistare Kyiv in pochi giorni e non ce l’ha fatta. La Russia voleva allontanare l’Ucraina dalla Nato e dall’Unione europea e l’Ucraina ora si è avvicinata alla Nato e all’Unione europea. Putin voleva dividere l’Europa e l’Europa di fronte a Putin si è unita. Putin voleva allontanare l’Alleanza atlantica dalla Russia e dopo tre anni i chilometri di confine della Russia con la Nato, grazie all’ingresso nella Nato della Finlandia, sono aumentati. La grande novità del 2024 è che i regimi del terrore sono spesso meno solidi rispetto a come l’occidente se li racconta e che l’occidente di fronte alle sfide dei terrorismi globali è più solido rispetto all’immagine che l’occidente proietta di sé stesso. Trump ha promesso che una volta arrivato alla Casa Bianca lavorerà per la pace risolvendo rapidamente ogni crisi in giro per il mondo. Se riuscirà a farlo, lo potrà fare grazie al modo in cui l’occidente, in questi anni, ha difeso sé stesso, e se Trump riuscirà a cogliere la grande occasione che gli viene offerta oggi dalla debolezza delle tigri di carta dei regimi del terrore sarà possibile isolare ulteriormente l’Iran, proteggendo Israele, sarà possibile sfruttare la debolezza di Putin, garantendo una pace giusta per l’Ucraina, e sarà possibile evitare di far sentire democrazie importanti come quelle di Taiwan vulnerabili rispetto alle minacce dei regimi illiberali. La morale del 2024, osservando i teatri di guerra in giro per il mondo, è semplice: opporsi al regime del terrore si può, basta volerlo, basta non assecondare, in modo autolesionistico, il senso di colpa dell’occidente, con cui gli occidentali di solito piuttosto che proteggere sé stessi scelgono di autoflagellarsi permettendo ai regimi illiberali di mostrare i muscoli anche quando i muscoli sono più spompati del previsto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.