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dal nostro inviato

La grande fuga degli sciiti dalla Siria del dopo Assad

Luca Gambardella

Il regime è caduto, ma non tutti celebrano la fine di una dittatura sanguinaria e c’è già chi rimpiange il passato. Gli sciiti sono tra questi e, secondo il governo libanese, già oltre 100 mila persone sarebbero scappate dall’8 dicembre scorso, il giorno della presa di Damasco

Dal nostro inviato a Masnaa (frontiera tra Libano e Siria). Tra le montagne che separano il Libano dalla Siria c’è chi si è ritrovato dalla parte sbagliata della storia e si mette in fila per trovare un po’ di pace. Decine di macchine incolonnate provenienti da Damasco e dirette in Libano attendono il proprio turno da ore. Molte sono famiglie sciite in fuga dal dopo Assad. Coloro che un tempo erano la minoranza che governava il paese oggi invece temono per la propria incolumità e decidono di lasciare le proprie case. “I siriani sono uniti, sono loro, gli sciiti, ad attaccarci”, assicura un ufficiale di Hayat Tahrir al Sham (Hts) di guardia alla frontiera. Viene da Idlib, dal nord, come molte delle guardie che presidiano il versante siriano. Dispensa larghi sorrisi e cordialità a chi attraversa la frontiera. “Abbiamo il controllo di tutti i confini con il Libano e con la Turchia. A Dio piacendo, tutto andrà bene. Tutti sono contenti”. 

Ma poche decine di metri più avanti è scoppiata una rissa e sembra che il motivo sia un video che gira su TikTok che mostra un ribelle sunnita che strappa con la forza la barba di uno sciita. Per terra, i resti di una gigantografia di Bashar el Assad se ne sta mezza strappata nel fango.  Il regime è caduto, ma non tutti celebrano la fine di una dittatura sanguinaria e c’è già chi rimpiange il passato. Gli sciiti sono tra questi e, secondo il governo libanese, già oltre 100 mila persone sarebbero scappate dalla Siria dall’8 dicembre scorso, il giorno della presa di Damasco. Con Assad al potere, poche migliaia di sciiti, che sono circa un decimo dell’intera popolazione siriana, si erano ritrovate dalla parte del potere. Ora che le carte del grande risiko settario della Siria si sono rimescolate, sono loro a non sentirsi più al sicuro. Dicono di avere ricevuto minacce, chi sui social chi su WhatsApp. Messaggi che arrivavano da sconosciuti e che hanno convinto intere famiglie a raccogliere le proprie cose e a scappare verso il Libano. 

 

In questi anni di guerra civile, le montagne che incorniciano il valico di Masnaa hanno visto passare ai loro piedi centinaia di migliaia di persone. Di volta in volta una carovana senza pace scappava da una catastrofe all’altra. Prima le bombe del regime e dei suoi alleati russi e iraniani, che hanno messo in fuga oltre un milione e mezzo di rifugiati che hanno trovato riparo in Libano. Poi è arrivato il 7 ottobre, che ha fatto di questo valico il punto di passaggio obbligato per un controesodo, quello di chi scappava dalle bombe israeliane scagliate contro Hezbollah nel sud del Libano. Libanesi, ma anche siriani che a loro volta erano fuggiti da Assad. Per chi rischia la propria vita non c’è alternativa più razionale che il gesto folle di riparare verso un’altra zona di guerra.  

 

Lungo i dieci chilometri scarsi che sono terra di nessuno da Masnaa a Jdeidat Yabous, ci si dedica a trasportare taniche di benzina dal Libano alla Siria, dove il gasolio è sempre più difficile da trovare. “Ora si vive così qui, ed è un bene perché molte persone che prima non lavoravano almeno ora trafficano il gasolio”, racconta Hassan che viene da Beirut. “Gli uomini di Julani invece la benzina la prendono dalla Turchia”, dice ridendo per alludere ai legami stretti fra Hts e Ankara. 
Proprio ieri al palazzo presidenziale di Damasco, Ahmed al Sharaa, come si fa chiamare ora Julani, ha accolto con un grande abbraccio il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan. Pare che i due abbiano trovato un accordo per dissolvere le milizie filo turche e fonderle nelle nuove Forze armate siriane, ma probabilmente non prima che Ankara abbia completato l’opera scacciando i curdi dal nord della Siria. Dopo il vertice – giacca e cravatta per Sharaa, che ormai ha abbandonato la mimetica – i due si sono fatti immortalare come due amici in gita che sorseggiano un caffè in cima al Monte Qasioun, la montagna sacra che troneggia su Damasco. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.