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reportage

Natale a Damasco. Tutte le incertezze dei cristiani in Siria

Luca Gambardella

Alla cattedrale Mariamita, il vescovo ortodosso ci dice: “Alla sicurezza ci pensiamo da soli, ma Hts non ci ha ancora chiamati”. Sulla “via dritta” della conversione di Paolo, solo qualche addobbo. Prove di convivenza 

Damasco, dal nostro inviato. La mattina in cui ribelli sono entrati a Damasco, il primo pensiero di Padre Petrus è stato quello di tenere aperta la sua chiesa. “Mi ero appena svegliato e avevo già ricevuto tanti messaggi, tutti uguali: ‘Assad è scappato!’. Non potevo crederci e sul momento ho fatto un enorme sorriso di gioia. Subito dopo mi sono chiesto cosa fare. Poi ho deciso, comunque vadano le cose, mi sono detto, aprirò la chiesa, come sempre”. Alle 8 del mattino, le campane della cattedrale Mariamita di Damasco, sede del patriarcato greco-ortodosso di Antiochia, hanno cominciato a suonare come fosse un giorno qualsiasi. Pochi chilometri più in là, a Jaramana, i ribelli di Daraa e di Hayat Tahrir al Sham erano entrati in città ponendo fine al regime della famiglia Assad. “Quel giorno si sono presentate in chiesa solamente 20 persone per la preghiera del mattino. I fedeli, i cristiani, avevano paura”. Ma i timori iniziali sono durati poco. “Dopo appena due giorni duecento fedeli si sono recati in chiesa a pregare”.

 

                         

 

Il giorno del Natale ortodosso di quattro anni fa, il 7 gennaio 2020, Vladimir Putin si imbarcò su un aereo diretto a Latakia, in Siria. Lì incontrò Bashar el Assad e il presidente russo si complimentò con il suo alleato: “Finalmente la Siria è un luogo sicuro, nonostante il lungo cammino necessario a ricostruire lo stato e l’integrità nazionale”, disse il presidente russo. I due viaggiarono fino a Damasco e fecero tappa anche qui, alla cattedrale Mariamita, per incontrare il patriarca Giovanni X. Nelle foto di quella visita, compare sorridente anche il vescovo di Damasco, Musa al Khoury, che oggi invece è adirato e preoccupato. 

“Solo Dio sa cosa succederà in futuro – dice alzando la voce – Il problema per noi cristiani non è solo quello della sicurezza. A questo possiamo pensarci anche da soli. Il problema è che nessuno di Hayat Tahrir al Sham ci ha ancora chiamati per parlare con noi”. Dice il vescovo che la questione è anche politica: “Nessuno parla di una Costituzione, di cosa ci sarà scritto, chi la redigerà, cosa prevederà per i cristiani, se anche noi saremo coinvolti nel governo”. Nonostante gli annunci all’unità nazionale fatti da Ahmad al Sharaa, il leader della Siria post Assad, al di là delle confessioni di fede e delle etnie, nonostante abbia assicurato di non cercare vendetta, i cristiani si aspettano che passi dalle parole ai fatti. Per il giorno del Natale cattolico, ci si aspetta un comunicato da parte del patriarca Giovanni X, che finora è rimasto in silenzio e con un basso profilo, per commentare la situazione politica.                        

A Bab Touma, nella città vecchia di Damasco e prevalentemente cristiana, la sicurezza del quartiere è garantita dagli stessi ragazzi che vivono qui e con cui Hts ha stretto un patto: armi e qualche soldo in cambio del loro servizio di polizia. Di sera stazionano davanti ai locali per mangiare shawarma e chiacchierare con gli altri coetanei. Questi vigili urbani improvvisati, nemmeno ventenni, si distinguono dagli altri solamente perché a tracolla portano i fucili. La mancanza di manodopera di Hts ha spinto i ribelli a cercare aiuto fra i residenti delle aree residenziali della capitale. Molti di loro sono cristiani cresciuti nei vicoli della città vecchia. Poco oltre, a Qaymariyya, le persone rincasano velocemente già prima delle 22, un orario insolito per questo quartiere pieno di bazar e locali, abituato a vivere fino a notte fonda. Tra qui e il suq di Hamidiyeh, di fronte alla moschea degli Omayyadi, le strade restano al buio e deserte, attraversate di tanto in tanto da suv lanciati a folle velocità mentre suonano canzoni che inneggiano al jihad. 

“Ho paura solo di Dio e lui ci insegna che ha creato l’uomo perfetto così come è”, ripete Padre Petrus. “Dobbiamo dare a queste persone di Hts una possibilità. Prima non potevamo nemmeno parlare, vivevamo nel terrore. Sì, è vero ho incontrato Assad, è venuto qui in chiesa anche con Putin. Ma lui ci usava, usava noi cristiani come si usa una mucca per arare un terreno. Ora stiamo molto meglio”. Alcune centinaia di chilometri più a nord, nella campagna attorno a Hama, dei ribelli di Hts hanno sfregiato la facciata di una chiesa greco-ortodossa, hanno distrutto le croci, decapitato la testa di una statua della Madonna e vandalizzato il cimitero. Sempre nei paraggi, vicino a Krak des Chevaliers, una coppia di cristiani è stata aggredita nella propria abitazione. La donna è stata uccisa e il marito torturato e decapitato. Non si conoscono le ragioni di delitti così efferati e secondo alcune fonti potrebbe trattarsi di atti di vendetta da parte di gruppi di ribelli che considerano i greco-ortodossi dei fedeli sodali dei russi. 

Lungo Bab Sharqi, la “via dritta” lungo la quale si convertì Paolo di Tarso e che taglia in due la città vecchia di Damasco, gli addobbi natalizi sono pochi. Solamente sull’antica porta romana c’è un enorme fiocco rosso e di tanto in tanto il vento agita qualche addobbo montato qui e là, come per non dare troppo disturbo. Soltanto all’interno di alcuni locali ci sono alberi illuminati e festoni. Fuori dalla cattedrale Mariamita – proprio di fronte al ristorante Naranj, che era il preferito di Assad – è stato allestito un presepe, ma per strada non si sente musica, non si balla. Non è un Natale come gli altri. Ana, che lavora in una pasticceria, dice che gli affari vanno male, che solo da pochi giorni la situazione sembra essere in leggere ripresa: “Dopo l’8 dicembre è stato un disastro – racconta – Non veniva nessuno a fare compere. Ora pare che stia migliorando”. Sul bancone espone torte alla panna, biscotti, dolci alle mandorle oltre a un piccolo presepe colorato fatto di marzapane. “Ho amici cristiani a Latakia e mi hanno detto che lì a nord la situazione è più tranquilla. Ma qui a Damasco non ci sentiamo completamente al sicuro. Questo Natale lo festeggeremo in famiglia, niente feste con gli amici come facevamo un tempo”. Anche Andrew Bahli, vescovo cattolico dei Siri, ha messo in guardia i fedeli in vista delle celebrazioni natalizie e li ha invitati a festeggiare con toni più dimessi, per evitare problemi. “Il mio problema, da cristiana è anche semplicemente cosa indossare il giorno di Natale, se mettere qualcosa di modesto”, spiega Ana. 

Dani, proprietario di un cafè, rassicura dicendo che la situazione è tranquilla, per i cristiani: “Quello che succedeva prima succede ora. Servivo alcol prima e continuo a servirlo ora. L’unico problema è la sicurezza perché per strada la sera non gira più nessuno come una volta”. Gli affari potrebbero andare meglio, spiega Dani, alle sue spalle c’è un grande pupazzo di Babbo Natale. “Per noi va bene Hts, ma l’importante è che ci dia quello che chiediamo: acqua calda, energia elettrica, salari più alti e sicurezza. Bisogna passare dalle promesse ai fatti”. 

Mentre chiude il portone della chiesa con una grossa chiave di metallo, il custode della cattedrale Mariamita racconta che assolve questo servizio da sempre, e che a sua volta lo ha ereditato da suo padre. Insieme, hanno conosciuto molte parabole della storia del paese. “E’ dura, ma è sempre andata così. Ogni periodo della nostra vita è stato una sfida. Lo sarà anche questa”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.