minaccia esistenziale
Putin ha costruito una Russia pronta a una guerra permanente contro l'Europa
Il presidente ha militarizzato l'intero settore dell'economia: il 6,3 per cento del Pil della Federazione russa è assorbito dalle spese militari (145 miliardi di dollari allocati nel budget del 2025, contro i 66 del 2021). L'unica alternativa che resta all'occidente è la deterrenza
Mentre il 2024 volge al termine e in attesa dell’insediamento del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, da settimane si ragiona sul destino dell’eroica difesa ucraina della sua e della nostra libertà, che a febbraio compirà il terzo anno. Se, quando e a quali condizione si potrebbe arrivare a un cessate il fuoco e a un armistizio sono domande cruciali e doverose, tanto più se si vuole che tre anni di sacrifici non siano stati vani e non consegnino il futuro di questo valoroso popolo nelle mani di quel macellaio di Vladimir Putin. Con buona pace di chi dall’inizio ha agito indegnamente e con cinica consapevolezza per sabotare il sostegno delle opinioni pubbliche occidentali alla causa della libertà ucraina e per sostenere attivamente il disegno imperialista russo, la lotta di un intero popolo non sarà comunque stata vana se all’Ucraina verrà risparmiata la sorte della Bielorussia.
La legittima preoccupazione per l’andamento e l’esito della guerra non deve però distrarre i nostri governi e le nostre opinioni pubbliche dall’unico dato certo, strutturale direi, che non solo caratterizzerà il 2025, ma lo attraverserà, e con il quale dovremo avere a che fare fin quando Putin non avrà lasciato il potere a Mosca, in coincidenza probabilmente con la sua dipartita da questa terra. Comunque la guerra si concluda, la Russia continuerà a costituire una minaccia puntuale attiva ai confini dell’Unione europea, una minaccia esistenziale per la stessa sopravvivenza del progetto europeo e per il futuro delle nostre democrazie. Non stiamo parlando di una possibilità o di una ipotesi, ma di una realtà concreta, alimentata da una spesa militare gigantesca: il 6,3 per cento del prodotto interno lordo della Federazione russa è assorbito dalle spese militari (145 miliardi di dollari allocati nel budget del 2025, contro i 66 del 2021): un dato che supera l’8 per cento se si conteggia una serie di voci riconducibili alla guerra in Ucraina e che raggiunge l’astronomica cifra di 200 miliardi di dollari se calcolati in termini di parità di potere d’acquisto.
Ma è la militarizzazione dell’intera economia, la sua trasformazione in una vera e propria economia di guerra, totalmente votata a sostenere le folli ambizioni del despota del Cremlino, a fornire la vera dimensione dell’irreversibilità delle scelte putiniane. Interi comparti industriali sono passati dalla produzione per i consumi interni (che restano depressi e tipici di una società povera di un paese in via di de-sviluppo) a quella dei settori che alimentano la macchina bellica russa. Questo ha implicato anche il dirottamento di manodopera tra settori non guidati dalla logica della produttività relativa, ma dirottata dalla logica drogata della gigantesca spesa militare. Al livello dei ceti più umili (dai quali è estratta la gran parte della carne da cannone che viene sacrificata senza alcun ritegno al fronte: si stimano in un milione le perdite relative a morti, feriti e prigionieri tra le truppe russe) questo ha significato un trasferimento di risorse verso le aree più povere del paese (i salari nelle forze armate hanno visto un’impennata), così “ricompensate” per l’impoverimento delle classi d’età più giovani.
Per quanto riguarda le élite, abbiamo assistito a un aumento gigantesco dei profitti e del potere di quelle coinvolte nel settore degli armamenti (tra i dieci produttori di armi mondiali che hanno conosciuto il più grande incremento di ricavi e profitti nel corso dello scorso anno, quelli russi occupano le posizioni di vertice). Si è trattato di una transizione tutt’altro che rapida e indolore, che non sarebbe possibile disfare senza ulteriori e analoghi costi e che ha legato il destino politico ed economico delle oligarchie alla prospettiva di una guerra senza fine. Mentre non sembra per nulla intenzionata a porre fine alla sua guerra d’aggressione, Mosca si sta in realtà preparando per la prossima guerra, che non potrà avere altro destinatario che l’Europa, sempre che questa non decida di consegnare il proprio destino e la propria sovranità nelle mani dell’autocrazia putinista, nel nome del falso “realismo” sbandierato dei nemici dell’occidente e della libertà e dagli utili idioti o dai prezzolati che ne diffondono la propaganda.
La sola alternativa a una resa che, per le giovani generazioni, costituirebbe quella “strada verso la servitù” teorizzata un’ottantina di anni fa da Lord Dahrendorf è rappresentata da una repentina, sostenuta e duratura crescita della capacità di deterrenza convenzionale da parte dei paesi dell’Unione europea (che peraltro coincidono quasi perfettamente con i membri europei della Nato). Ormai non si parla più del famoso 2 per cento del pil (oltretutto ben lontano da quanto investono Spagna e Italia, quest’ultima inchiodata a un risibile 1,5 per cento), ma di un valore percentuale non inferiore al 3. Forse, se le nostre élite politiche acquisissero una maggiore consapevolezza della natura permanente e crescente della minaccia russa e ne spiegassero con lealtà e chiarezza la dimensione e il carattere all’opinione pubblica, certe pseudo argomentazioni al servizio del Cremlino si rivelerebbero per quel che sono: mistificazioni, inversioni delle cause con gli effetti e mistificazioni della realtà, spesso nutrite da ego tento ipertrofici quanto miserabili. Ricordiamoci invece che, tra la guerra e il servaggio, rimane sempre disponibile l’alternativa della deterrenza, la sola in grado di garantire la nostra libertà futura, sempre che nel presente si facciano le scelte necessarie e non più rinviabili.
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