Una tavolata con alcuni giovani durante il pranzo di Natale in un ristorante della città vecchia di Damasco (foto Luca Gambardella)

in siria

Hts fa gli auguri all'arcivescovo cattolico a Damasco: "Siamo ottimisti"

Luca Gambardella

Le feste dei cristiani in Siria con toni più dimessi del solito. Battah: "Mi hanno chiamato, vedremo come saremo coinvolti". Poche famiglie nei ristoranti, tra paura e crisi economica. Nel nord insorgono gli alauiti

Damasco, dal nostro inviato. Il giorno di Natale sembra congelare almeno per qualche ora le paure dei cristiani in Siria. Fuori dalle chiese, i fedeli che partecipano alla liturgia sembrano vogliano liberarsi delle paure. Eppure, nessuno vuole parlare della manifestazione di ieri, in cui molte centinaia di cristiani sono scesi in strada per protestare contro il governo provvisorio, chiedendo più sicurezza. “Noi non c’eravamo”, dice una ragazza che raccoglie offerte all’ingresso della Chiesa ortodossa siriaca di San Giorgio. “Nessuno di noi è andato, qui è tranquillo, è un bel Natale”, assicura. Alle porte della città, in quella di Bab Touma e quella orientale di Bab Sharqi, stazionano poche decine di uomini di Hayat Tahrir al Sham (Hts). A partire dalla sera della Vigilia, il traffico è stato chiuso e i combattenti in giro per la città sono molti più del solito, sfoggiano autoblindo tirate a lucido e divise nere con passamontagna. Una dimostrazione di forza per mostrare a tutti che non c’è di che preoccuparsi, che il Natale trascorrerà in pace.

“Ora vado a celebrare la messa e dovrebbero venire anche quelli di Hts a porgerci gli auguri”, dice al Foglio l’arcivescovo cattolico di Damasco, Youhanna Jihad Battah. “Li ho sentiti al telefono, mi hanno chiesto se potevano venire in chiesa e ho risposto che sono i benvenuti”. Nella sua poltrona nello studio adiacente alla chiesa sulla via Retta, Battah si dice ottimista e sereno per il futuro: “Parleremo con il nuovo governo e vedremo come saremo coinvolti”. La manifestazione di ieri non va enfatizzata, dice. “Molti di loro sono fanatici, ce ne sono da una parte e dall’altra, anche noi cristiani ne abbiamo. Quelli scesi in strada ieri si fanno chiamare ‘legionari di Cristo’. Ma Cristo non ha legionari, ha soltanto fedeli”.

La banda del quartiere della città vecchia segue il suo percorso tradizionale, percorre sharia Bab Touma fino alla porta romana e torna indietro. Al suo seguito però c’è solo un centinaio di persone e tra le bandiere che sventolano non c’è quella della rivoluzione siriana, segno che la diffidenza resta. Gli inviti rivolti dai sacerdoti e dai vescovi delle diverse confessioni cristiane della città sono stati ascoltati dai fedeli, che hanno preferito limitarsi a partecipare alle celebrazioni in chiesa, evitando il tradizionale pranzo nei ristoranti della città vecchia come ai tempi del regime.

Abed, manager del Syndian, verso la porta orientale, dice che la paura è tanta. “Molte persone hanno preferito pranzare a casa. E’ la prima volta che i festeggiamenti sono così blandi, ma speriamo che le cose possano migliorare presto”, spiega. Anche la situazione economica del paese – secondo le Nazioni Unite, oltre il 90 per cento del paese vive al di sotto della soglia di povertà – ha influito sui festeggiamenti. “Tutto costa molto di più oggi, le materie prime, la benzina. Abbiamo dovuto alzare i prezzi anche noi e questo è un problema per molte persone - dice Abed - La cosa più urgente è che si ponga fine alle sanzioni, perché la situazione è molto difficile per noi siriani”.

Mentre nel ristorante si esibiscono un cantante e una piccola orchestra, Mtanonos, 30 anni, dice che per i cristiani il futuro è incerto. “Ma è troppo presto per fare bilanci, la Siria ha bisogno di tempo. Per ora va bene così. Il governo ci ha promesso che tutto andrà bene e cerchiamo di goderci questi momenti”. Ahmad al Sharaa, il leader di Hayat Tahrir al Sham (Hts), ha annunciato due giorni di festa nazionale per la Vigilia e per il giorno di Natale, una dimostrazione della volontà del governo di dare garanzie ai cristiani. “L’idea che si fanno fuori dalla Siria fino a oggi, che noi eravamo i sostenitori del regime di Bashar el Assad, è sbagliata”, spiega Houssam. “La verità è che prima anche noi, come tutti, non potevamo parlare e non potevamo dire quello che pensavamo. Da quando il regime è caduto, senza nemmeno rendercene conto ci siamo ritrovati a parlare di politica liberamente anche per strada, tra amici – racconta Houssam - Prima era impossibile anche solo immaginarlo”.

Più a nord, a Homs, Tartous e Latakia, il problema di come gestire le minoranze sta diventando una questione ancora più complessa per Hts. A Tartous, alcuni alawiti sono scesi in strada per protestare contro il governo provvisorio e hanno chiesto agli uomini di Sharaa di andarsene. Sui social sono stati pubblicati dei video in cui si mostrano degli scontri armati e Hts ha annunciato un coprifuoco a Homs per questa sera.

Di più su questi argomenti:
  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.