La prima resa dei conti in Siria è tra Hts e gli alawiti di Assad
Odio settario e nostalgia del regime infiammano Mazzeh 86, baraccopoli alla periferia di Damasco. Tra arresti e minacce, gli alawiti diventano il nodo cruciale per il governo di transizione
Damasco, dal nostro inviato. Gli alawiti della baraccopoli di Mazzeh 86, periferia occidentale della capitale, hanno paura e i volti tesi, temono rappresaglie da parte degli uomini di Hayat Tahrir al Sham (Hts) che chiudono l’ingresso al quartiere. Secondo Hts, fra i residenti si nascondono gli shabiha, gli agenti dei servizi segreti di Bashar el Assad che non vogliono arrendersi e deporre le armi. La gestione della minoranza alawita sta diventando la più complessa e urgente per il governo di transizione in Siria. Negli ultimi due giorni, sulla costa di Latakia e Tartous, gli alawiti sono scesi in strada per protestare contro Hts, accusato di giustizia sommaria nei confronti di quella che per decenni è stata la minoranza su cui si è retto il regime di Assad. Due giorni fa a Tartous, 14 uomini del governo sono stati uccisi in un’imboscata tesa dai lealisti del regime. L’episodio ha innescato un effetto domino nel resto del paese, mescolando insieme odio settario e nostalgia del regime di Assad.
Gli scontri sono arrivati a Homs e qui, nella periferia di Damasco. Mazzeh 86 è un distretto ridotto a povertà ed emarginazione e prende il nome dal quartier generale di una delle divisioni del regime. “Hanno tempo fino alle 16 per consegnarci le armi. Dopo entreremo casa per casa”, dice un ufficiale che insieme ad altre decine di uomini circondano il quartiere. Negli scontri di mercoledì sera, Hts ha arrestato diversi residenti che – dicono – avevano cominciato a sparare. Sono accusati di agire per conto dell’Iran e di Hezbollah, ma un ragazzo della baraccopoli si avvicina per fare vedere un video sul cellulare che dimostrerebbe come a iniziare a sparare siano stati i militari di Hts. Rapidamente viene fatto allontanare dagli uomini armati. “Assad e l’Iran finanziano i lealisti in Siria che non si vogliono arrendere – spiega un militare – Molti a Mazzeh sono coinvolti. Qui è pieno di ex militari che lavoravano nei servizi segreti e nelle prigioni, come quelle di Sednayah”. Guai però a parlare di minoranze e di alawiti. “Non c’entra la religione – dice un militare di Hts – Il problema è che sostengono il regime. La Siria è una, non sono un problema gli alawiti”. Ma qui a Damasco, così come a Latakia e a Tartous, i cori di chi è sceso in strada a manifestare scandivano “Ya Ali! Ya Ali!”, dal nome di Ali ibn Abi Talib, un cugino del Profeta che venerano gli alawiti. Il messaggio che arriva dalla leadership però è che la priorità è abbassare i toni ed evitare di cadere nella trappola delle divisioni settarie.
Il giorno precedente all’agguato contro gli uomini di Hts a Tartous, è stato diffuso online un video che mostra una moschea di Aleppo data alle fiamme dai ribelli. La moschea di Maysaloon è un luogo sacro per gli alawiti e a poco è servito chiarire che l’episodio risalisse alla fine di novembre. Se Hts accusa l’Iran di diffondere notizie false, online si moltiplicano i video di torture e giustizia sommaria compiuti ai danni degli alawiti, considerati tutti, senza distinzioni, sostenitori del regime. “Io stessa sono figlia di uno degli shabiha, ma non ce l’ho con quelli di Hts”, chiarisce una donna di Mazzeh 86. “Però non ci sentiamo al sicuro. Devono difendere tutti, anche noi”.
L'editoriale del direttore