dal nostro inviato

La Siria e gli alawiti. Jnaid, l'imam sunnita di Homs, ci dice che si deve porre fine alle divisioni

“Ora basta dividerci Siamo tutti uguali e con gli stessi diritti". Ma intanto l'Iran soffia sul fuoco delle divisioni settarie: Khamenei ha detto che è solo questione di tempo e i giovani alawiti insorgeranno contro il governo

Luca Gambardella

Homs, dal nostro inviato. “Bashar el Assad ha ucciso entrambi i miei fratelli e io ho sofferto molto. Ma l’unica giustizia che ho chiesto è stata quella di Dio”, dice Suhail Jnaid, l’imam sunnita di Homs.Spero che ora i cristiani e gli alawiti facciano la stessa cosa e rinuncino alla loro rabbia”. Durante la preghiera del venerdì nella moschea di Khalid ibn al Walid, il condottiero arabo che nel settimo secolo sconfisse i bizantini, l’imam ha lanciato un appello alla fine del suo sermone: “Dimenticate l’odio e la vendetta, la giustizia degli uomini spetta al governo, non a voi. Non commettete gesti che possono portare solamente a spargere altro sangue”.

 

Due giorni fa, qui nel quartiere Hadara, un gruppo di alawiti ha attaccato i passanti mentre passeggiavano per negozi. Poi si sono rivolti contro gli uomini di Hayat Tahrir al Sham (Hts), ci sono stati spari e lanci di pietre inneggiando al cugino del Profeta, venerato dagli sciiti: “Urlavano ‘Ya Ali! Ya Ali!’”, raccontano i testimoni. I militari del governo transitorio hanno sparato e gli assalitori sono stati arrestati. Nella città a circa 160 chilometri a nord di Damasco è stato indetto un coprifuoco serale e i militari presidiano il quartiere. “A Hadara noi sunniti abbiamo sempre vissuto insieme agli alawiti e anche se sappiamo che molti prima erano uomini del regime, da quando è caduto Assad non ce la siamo mai presa con loro”, spiega Ali, un commerciante di vestiti. “Ora però sono loro ad attaccare noi”.

 

A Latakia, a Tartus e a ovest di Homs, a ridosso della frontiera libanese, Hts ha lanciato una vasta operazione militare per sradicare gli ultimi uomini del regime di Assad che non intendono arrendersi. Un loro leader, Shujaa al Ali, pochi giorni fa aveva inneggiato alla resistenza degli alawui, incitando a tagliare la testa ai sunniti. Ali era un ex ufficiale della Quarta divisione dell’esercito siriano, responsabile dei crimini più gravi contro i civili, e si era messo a capo di una banda nelle campagne di Homs che ha compiuto omicidi e rapimenti. Ieri è stato ucciso nei combattimenti, e la notizia è stata accolta con gioia a Homs, da chi per anni ha subìto le ingiustizie di un regime dispotico. Tutti dicono però che la religione e l’odio contro gli alawiti sono strumentalizzazioni politiche fomentate dall’Iran: “Certo, qui la maggioranza sunnita per decenni ha subìto il volere della minoranza alawita e ha versato molto sangue – spiega l’imam – ma oggi non cerchiamo vendetta”. 

 

Alla fine della preghiera, un fiume di persone si riversa all’esterno della moschea. Alcuni portano sulle spalle il corpo di un militare di Hts ucciso nelle campagne di Homs dai lealisti alawiti del regime e il cui funerale si è celebrato oggi. L’urlo è di dolore: “Non c’è altro Dio all’infuori di Allah”, gridano oltre un migliaio di persone, mentre si spara in cielo con i fucili. Le operazioni militari non sono ancora concluse. A Balqasah e Talkalakh, qualche decina di chilometri a ovest di Homs, si combatte strada per strada contro i lealisti. Ieri, Hezbollah ha celebrato la morte dei primi due “martiri” in Siria dal giorno della caduta del regime, entrambi uccisi nei combattimenti contro Hts. Sono gli ultimi rantoli dell’Asse della resistenza nel paese, secondo i militari del governo transitorio. “Sono disperati, pochi, senza soldi e senza armi. Che senso ha resistere?”, si chiede uno di loro mentre pattuglia il quartiere di Hadara. Che l’Iran soffi sul fuoco delle divisioni settarie è provato dal fatto che pochi giorni fa l’ayatollah Ali Khamenei ha detto che è solo questione di tempo e prima o poi i giovani alawiti insorgeranno contro il governo sunnita. A dimostrare che il discorso settario sia fomentato dai lealisti del regime e dagli iraniani sono le parole di Aashim, un residente alawita di Homs: “Esiste la setta degli alawiti ed esiste quella degli assadisti. Io appartengo solo alla prima – dice  – Ci sono solo tre cose che odio: Assad, la Russia, l’Iran”.

 

Ahmad al Shaara, il capo del governo transitorio, “dice che dobbiamo chiudere con il passato e aprire un nuovo capitolo. Ma la realtà dei fatti è diversa”, dice il vescovo cattolico dei siri di Homs, Jacques Murad. “Anzi, Hts sta facendo esattamente quello che faceva Assad all’inizio della rivoluzione: torture e violenze”. Quando era sacerdote al monastero di Mar Musa insieme a Padre Paolo Dall’Oglio, Murad fu rapito dallo Stato islamico nel 2015 e rilasciato dopo diversi mesi di prigionia. Ora, da vescovo, si dice ottimista per il futuro, ma avverte: “Non è predicando vendetta che si migliora la situazione. Gli alawiti hanno sofferto forse più di chiunque altro la dittatura. Prima hanno versato il loro sangue perché obbligati a combattere per Bashar e adesso per colpa dei sunniti”. Il destino di questa minoranza sciita, che compone poco più del 10 per cento della popolazione siriana, sembra simile a quello dei cristiani, che a Hama subiscono violenze e aggressioni da parte di Hts. “Ho chiesto al rappresentante di Sharaa di proteggerci. Ma ha risposto che si tratta solo di casi singoli. Io ho ribattuto che non mi importa, che questa non è una risposta. Il popolo non si fida più di nessuno. Abbiamo lottato per questa libertà e vogliamo tenercela”, spiega il vescovo. “Devono ascoltarci, perché finora il governo ha solo speso parole, ma i fatti non ci sono e noi abbiamo paura”.

 

Per dare un segnale di unità, ieri il governo ha convocato nelle piazze della Siria una manifestazione per celebrare la liberazione dal regime. A Homs, ci si riunisce a Piazza dell’orologio, un luogo simbolico, perché fu quello da dove partirono nel 2011 molte delle proteste contro Assad. Alla fine sono solo poche decine a radunarsi sventolando le bandiere della rivoluzione. Però si canta e si balla, liberi di poter urlare al cielo  cori sprezzanti e derisori contro Bashar. Scene che fino a poche settimane fa erano inimmaginabili e che oggi sono conquiste fragili per una città che “è sempre stata abituata a vivere nella paura”, come dice il vescovo Murad. Oggi Homs è ridotta a un cumulo di macerie, come quelle che circondano la moschea, anch’essa centro nevralgico delle rivolte e distrutta dal regime perché considerata un nascondiglio di armi e ribelli. “Ma ora basta dividerci – dice l’imam Jnaid – Siamo tutti uguali e con gli stessi diritti. Questa è Homs, questa è la Siria, terra di amore e di pietà”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.