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L'editoriale dell'elefantino

La vacanza che Emmott vuole comminare a Zelensky è solo sense of humor non riuscito

Giuliano Ferrara

La richiesta di resa, come quella peace in our time sbandierata dopo Monaco, nasconde il rifiuto di apprendere dalla storia. Il presidente ucraino sa chi è e cosa rappresenta meglio di come potrebbe anche solo intuirlo un parruccone politicante fra tanti

L’opinione di Bill Emmott su Zelensky è meno importante di quanto si pensi, l’invito a una eroica vacanza familiare via dimissioni rileva dell’ipocrisia morale vittoriana più che della sua idoneità al giudizio su una leadership, da tempo abbastanza scarsa, è un piccolo incidente del sense of humour quando non riesce, come gli successe già con Berlusconi, a dare conto di cose fuori scala. A Zelensky vanno attribuite alcune qualità: sprezzo del pericolo, realismo, duttilità. Come succede a chi ha una vena estranea ai meccanismi di selezione dell’establishment, l’attore comico fattosi uomo di stato per scelta popolare e capo di una nazione europea resistente dopo l’invasione russa sa chi è e che cosa rappresenta meglio di come potrebbe anche solo intuirlo un parruccone politicante fra tanti. Di quelli, per capirsi, che gli rimproverano di non essersi fermato a tempo, di non aver trattato prima la resa a discrezione, di essersi messo in testa di liberarsi della stretta di uno più grande e più grosso di lui.

 

Zelensky ha da principio detto e fatto quel che era utile per milioni di persone minacciate di esproprio della libertà e dell’identità sotto le bombe. L’operazione speciale è partita cercando di consegnarlo all’immagine dell’ebreo nazista, macabra anticipazione della mascalzonata poi compiuta contro un’altra guida della resistenza nazionale e dell’autodifesa. Se ne è disinteressato e ha badato al sodo: la solidarietà politica contro un nemico comune dell’Europa e dell’occidente, le armi. Ha imposto ai parlamenti e all’opinione pubblica, nel mezzo di un conflitto che ha dissestato le relazioni internazionali e l’economia dell’abbondanza, l’immagine in divisa di un presidente combattente. Per questo dopo un poco di tempo, passata la grande sorpresa nel cuore dell’Europa, gli è stato chiesto di alzare bandiera bianca e di ritirare pretese di integrità che non combaciano con l’ansia di benessere solidale del mondo votato alla pace senza giustizia, la famosa peace in our time sbandierata dopo Monaco. 

 

L’eroismo, specie se immune da narcisismo, specie se combinato con il realismo e la dolorosa consapevolezza dei rapporti di forza, come quando Zelensky ha riconosciuto che da solo e con i mezzi che ha non ce la fa a riprendersi quello che è stato tolto alla democrazia ucraina e ai suoi alleati dall’autocrate invasore, genera scontento, uno due tre inverni di scontento, sia per chi sta al freddo nella martoriata eccetera sia per chi sta al caldo. Il particolare pietoso e penoso, ma non per gli ucraini, è che quanto non riesce a riprendersi chi ha subito a testa alta la prepotenza corrisponde esattamente a quanto rischia di perdere chi ora è tentato di abbassare la testa con un atto che non ha niente a che vedere col realismo e molto con la paciosa remissività degli operatori di ingiustizia e di piccolo calcolo in ogni tempo. Ma aiutarsi con la storia può risultare sgradevole.

 

Già negli anni Cinquanta lo spirito forte di Giuseppe Tomasi di Lampedusa metteva in guardia dall’equivoco del magistero esercitato dal passato, riversando amarezza e bonaria ironia sulla sua piccola corte di studenti di letteratura inglese: “Conosco la vostra avversione per la storia e apprezzo l’orgoglio che ve la ispira, orgoglio di una generazione che si crede ‘Dieu de lui-même, unique et sans aïeul’ (Dio di sé stesso, unico e senza antenati, ndr) e teme di dover constatare attraverso la storia a qual punto sia invece condizionata, pre-fabbricata, a tema obbligato…”. Molte lezioni valgono anche per il rifiuto a apprendere che ispirano. Ma non questa, perenne. Il loro metodo, diceva chi salvò l’Europa dal nazismo, è di dare sempre più da mangiare al coccodrillo, sperando di essere risparmiato, finché il coccodrillo non lo mangerà.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.