Il settimo carcere
Chi sono e quanti sono i giornalisti in carcere in Iran. Parla Jodie Ginsberg del Cpj
La presidente del Comitato per la protezione dei giornalisti ci racconta come è cambiata l’informazione a Teheran dal 2022. Non una data a caso
“Vorrei dire a Cecilia che stiamo pensando a lei. Sappiamo che viene trattata bene, come si può sperare. Vorremmo che sappia che non è sola e che molte organizzazioni stanno facendo tutto il possibile per garantire la sua liberazione. E so che molti dei suoi colleghi stanno pensando a lei, e non vedono l’ora di vederla quando verrà rilasciata”. Questo augurio viene rivolto a Cecilia Sala da Jodie Ginsberg: già giornalista di Reuters e Internews, e dal 2022 chief executive del Comitato per la protezione dei giornalisti, “un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fa campagne a favore dei giornalisti a rischio in tutto il mondo, e lo facciamo anche fornendo assistenza diretta ai giornalisti a rischio. Quindi possiamo fornire supporto di emergenza ai giornalisti in esilio”.
“Documentiamo gli abusi ai danni dei giornalisti. E facciamo campagne a favore della libertà di stampa a livello globale”. La interpelliamo per avere il suo autorevole punto di vista, ma al sapere che il Foglio è proprio il giornale per cui Cecilia Sala scrive è lei che inizia a fare domande e offre anche il suo sostegno. “Se possiamo essere d’aiuto in qualche modo, fammelo sapere! Noi forniamo anche supporto e consigli alla famiglia, quindi se c’è qualcosa che possiamo fare, lo faremo!”. Grazie. Ma adesso proviamo a fare un’analisi. Come si inserisce il suo arresto nella situazione della stampa in Iran? “Purtroppo, si inserisce in uno schema di arresti di giornalisti, anche giornalisti stranieri, che in Iran va avanti da troppo tempo. Saprete che appena un paio di settimane fa in Iran un giornalista è stato condannato a dieci anni di prigione”. Reza Valizadeh “era un ex giornalista di Radio Farda, servizio in lingua farsi di Voice of America. Ed è stato dichiarato colpevole di collaborazione con il governo degli Stati Uniti. Sfortunatamente in Iran vediamo spesso arresti e la detenzioni di giornalisti che tentano di riferire liberamente sull’Iran, compresi gli arresti di giornalisti stranieri”. I casi più gravi? “Ci sono decine e decine di giornalisti arrestati. Attualmente ci sono circa 26 giornalisti in carcere, inclusi i giornalisti curdi. Spesso i giornalisti ricevono condanne molto lunghe”.
Reza Valizafeh, però, aveva doppia cittadinanza: iraniana e statunitense. In genere, sono i giornalisti con cittadinanza iraniana, esclusiva o compartita, ad essere a rischio. Cecilia invece ha solo la cittadinanza italiana. Cosa può essere successo? “Effettivamente, è più raro che i giornalisti stranieri che non hanno la doppia nazionalità vengano arrestati. Ciò lascia sperare che potrà essere più facile fare pressione sul governo iraniano per ottenere un suo rapido rilascio”.
Ma, più in generale, c’è una evoluzione nella situazione della libertà di stampa in Iran? Sta migliorando, sta peggiorando o nel corso degli anni rimane sempre la stessa? “Direi che è peggiorata. Abbiamo assistito a un forte aumento degli arresti dal 2022, e il problema non è solo in Iran. Il problema è anche che abbiamo visto molte minacce extraterritoriali rivolte a giornalisti che vivono fuori dall’Iran. All’inizio di quest’anno è uscito un rapporto delle Nazioni Unite, redatto da esperti delle Nazioni Unite, secondo cui solo nel Regno Unito ci sono stati dal 2022 almeno 15 complotti iraniani per uccidere o rapire persone in territorio britannico. Per esempio, un giornalista di Iran International è stato accoltellato violentemente fuori casa sua a Londra, nel marzo 2024. Ci sono continui alti livelli di molestie nei confronti dei giornalisti che lavorano per le agenzie di stampa sull’Iran ma al di fuori dell’Iran, come Bbc News Persian, Deutsche Welle, Voice of America, Iran International. Quindi non è solo la situazione all’interno dell’Iran, che è incredibilmente repressiva, perché la maggior parte dei media nazionali è controllata dal regime. Ma è anche il fatto che i giornalisti indipendenti al di fuori dell’Iran che cercano di riferire sull’Iran affrontano minacce, comprese minacce alla loro vita”.
Che tipo di pressione sarebbe dunque utile esercitare sull’Iran? “La pressione pubblica è importante, continua a essere importante. Quindi, è molto utile che l’Italia abbia un ruolo in questo. Speriamo che ciò possa produrre risultati. In passato, in alcuni casi i giornalisti sono stati rilasciati solo dopo uno scambio di prigionieri. E’ quello che è accaduto ad esempio a Jason Rezaian, il giornalista americano rilasciato nel 2016. Quindi dipende dal motivo per cui l’Iran ha effettuato questo arresto e se c’è qualcosa che vogliono in cambio e al momento non è chiaro. Molto di ciò riguarderà la pressione diplomatica che l’Italia e altri governi sono in grado di esercitare sull’Iran”.
Per concludere, Jodie Ginsberg tiene però a sottolineare che se sono gli arresti di giornalisti stranieri quelli che fanno più rumore, “è importante sottolineare che ci sono anche molti giornalisti locali che non sono in grado di generare questo tipo di attenzione, perché è spesso pericoloso per le persone all’interno dell’Iran parlare a loro nome. Ma è importante ricordare che l’Iran in questo momento è il settimo peggior carcere di giornalisti al mondo”.