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Verso la Casa Bianca

Dolori da Maganomics. Soprattutto per l'Eurozona

Fabio Sabatini

Dai dazi all’energia, passando per i tagli alla spesa pubblica e alla deportazione in massa degli immigrati. Ma a pagare le conseguenze dell’agenda economica di Trump sarà l’Ue

L’agenda economica di Trump comprende una varietà di misure talvolta spericolate e non sempre coerenti tra loro. Riduzione delle aliquote, tagli draconiani della spesa pubblica e ridimensionamento del ruolo dello stato, deportazione in massa degli immigrati, minacce all’indipendenza della Fed e protezionismo, fino a un dazio del 60 per cento sui prodotti provenienti dalla Cina. Complessivamente, Maganomics sembra rispondere soprattutto a esigenze di posizionamento politico tipiche delle campagne elettorali, anziché a un piano credibile e ben congegnato. Perfino un economista vicino al presidente come Arthur Laffer ha definito le misure promesse da Trump come un buon “modo garantire la Terza guerra mondiale”. Pertanto, è improbabile che vengano attuate completamente e tutte insieme dalla prossima Amministrazione. Tuttavia, nel dubbio, è opportuno riflettere sulle potenziali conseguenze per l’Eurozona, la cui coesione è già ciclicamente minacciata dai sovranismi. 

 

              

 

E’ facile intuire che Maganomics non farà bene all’Europa. Anzitutto, i dazi doganali metterebbero in difficoltà l’industria manifatturiera, specie in Germania. L’effetto si accompagnerebbe a una maggiore competizione sugli altri mercati, dovuta al protezionismo ancora più spinto nei confronti della Cina, che a sua volta dovrà ricalibrare le proprie politiche industriali e commerciali per esportare i prodotti che non riusciranno più a penetrare il mercato statunitense. Come non bastasse, il protezionismo è sempre foriero di rappresaglie. Se anche altri paesi alzeranno delle barriere, esportare i prodotti europei potrebbe diventare ancora più difficile. 

La crisi della domanda internazionale che potrebbe derivarne avrebbe effetti negativi sull’occupazione e sul gettito fiscale, stimolando al tempo stesso la necessità di politiche di compensazione per le categorie più colpite, con una dinamica potenzialmente deteriore per il debito pubblico. Per i paesi con finanze pubbliche in buona salute, come la Germania, spendere in deficit non sarà un problema. In altre regioni dell’Eurozona, invece, alimentare il debito comporterebbe non poche difficoltà.

Con la riduzione delle tasse, Trump spera di ottenere un effetto espansivo, con la domanda dei consumatori che, nelle intenzioni, sarebbe incanalata verso i prodotti statunitensi dalle politiche protezioniste. Nel caso, invero improbabile, di un’espansione della domanda statunitense, la Fed potrebbe trovarsi ad attuare politiche restrittive, con un rialzo dei tassi di interesse. Una simile dinamica andrebbe in controtendenza rispetto al ribasso dei tassi che ci si potrebbe attendere in Europa in seguito alla diminuzione della domanda. 

 

            

 

Anche le politiche energetiche e i dazi sulle importazioni dal Canada promessi da Trump potrebbero avere conseguenze deflazionistiche nell’Eurozona, a causa del plausibile aumento dell’offerta di energia globale, soprattutto nel medio periodo, quando il Canada potrebbe ricalibrare le sue infrastrutture per renderle funzionali a eventuali esportazioni verso l’Asia e L’Europa.

Considerata l’incertezza sull’attuazione delle misure trumpiane, è molto difficile prevedere quale dinamica prevarrà. In qualsiasi scenario, l’azione dei governi sarà vincolata sia dall’andamento della domanda sia dalle condizioni pregresse delle finanze pubbliche nazionali. Tuttavia, anche gli aspetti politico-elettorali rivestiranno un ruolo rilevante. I populisti europei, che in alcuni casi guidano il proprio paese, trarranno nuova energia dalle proposte trumpiane, e potrebbero voler attuare politiche potenzialmente rischiose per assicurarsi vantaggi elettorali nel breve periodo. Anche se le dinamiche nazionali saranno attutite dalla mancanza di sovranità monetaria e dal coordinamento fiscale, alcune parti politiche potrebbero rivendicare con più forza aumenti della spesa pubblica in deficit per tamponare gli eventuali effetti recessivi della contrazione della domanda mondiale, nonché politiche protezioniste per guadagnare il favore delle piccole imprese locali, poco inclini alle esportazioni (e poco consapevoli dell’effetto dei dazi sull’aumento dei costi di produzione).

E’ prevedibile un inasprimento della propaganda contro l’immigrazione, che si è mostrata tanto efficace nelle elezioni statunitensi, con effetti deleteri sull’offerta di lavoro interna, specie da parte dei lavoratori più competenti – più sensibili al clima politico e alle prospettive economiche di lungo periodo. Complessivamente, le imprese europee dovranno fronteggiare un mercato internazionale potenzialmente più ostile a causa della guerra commerciale e un mercato interno potenzialmente depresso dal calo della domanda e dal possibile aumento del costo del lavoro qualificato. 

In sintesi, Maganomics sembra foriera di potenziali choc e un’incertezza significativa, fenomeni mai particolarmente graditi dall’economia. In linea di principio, Bce e governi dovranno essere più prudenti e pragmatici che mai, basando le proprie decisioni anzitutto sulle condizioni economiche dell’Eurozona, la cui crescita rischia di indebolirsi ulteriormente, e sullo stato di salute delle finanze pubbliche nazionali.
 

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