il racconto
La nuova libertà dei drusi in Siria, contesi tra Israele e Hts che gli dicono: fidatevi di noi
La spinta che ha deposto Assad è partita dal nord, ma è da Suwayda e Daraa che è arrivato il colpo di grazia. Qui le milizie druse si sono riunite in una “cabina di regia” parallela a quella di Hts. "La guerra è peccato, ma non se dobbiamo difenderci", ci dice il leader di una di queste milizie. L'intervista alla guida spirituale dei drusi in Siria Hikmat al Hijri
Suwayda, dal nostro inviato. La processione degli sceicchi arriva fin sotto l’abitazione del saggio Hikmat al Hijri, la guida spirituale dei drusi in Siria, che qui chiamano Abu Salman. A Qanawat, nella campagna di Suwayda, c’è chi arriva da lontano, dalle campagne di Idlib a nord, e chi invece rappresenta i villaggi del sud. C’è un clima di festa e prima di ricevere udienza intonano un coro: “Sacrifichiamo il nostro sangue e la nostra anima per te, oh Abu Salman!”. Il capo dei drusi compare in quel momento al centro del capannello che si è creato e risponde: “No, da adesso sacrificherete la vostra anima e il vostro sangue per il paese”. Si fa ingresso nel salone riservato alle udienze. Oltre ai rappresentanti dei villaggi ci sono diversi membri della principale milizia della provincia, Faz’at Shabab al Jabal, tutti riconoscenti per potersi rivolgere di persona a Hijri. Il capo dei drusi inizia l’udienza ricordando il momento storico che vive la Siria. Quando termina, uno dei rappresentanti dei villaggi vicini si avvicina e comincia a declamare un poema dedicato al capo, un altro lo invita a partecipare alle commemorazioni per la morte di un martire durante la guerra contro il regime, altri chiedono consiglio su cosa fare ora, se consegnare le armi al governo di Damasco oppure mantenere l’autonomia delle milizie druse. La risposta di Hijri è che la priorità è difendere il popolo di Suwayda e il messaggio implicito è che le milizie del sud non si uniranno a un esercito nazionale, almeno per il momento.
“Per decenni la Siria ha sofferto il periodo coloniale, finché non si è affidata al comando di un uomo solo, prima con Hafez e poi con Bashar el Assad. Ora con fatica e sacrificio il popolo è riuscito a liberarsi di questo tiranno”, spiega Hijri al Foglio al termine dell’udienza, in una stanza privata. “Noi drusi abbiamo patito la brutalità del regime, come tutti. Siamo stati privati di ogni libertà”. Se la spinta propulsiva che ha deposto Assad è partita dal nord, è dalle province meridionali di Suwayda e Daraa che è arrivato il colpo di grazia. Qui le milizie si sono riunite in una “cabina di regia” parallela a quella guidata da Hayat Tahrir al Sham (Hts). Ashraf Jamul, il comandante di Faz’at Shabab al Jabal, spiega al Foglio che era da un anno e mezzo che si preparavano all’offensiva: “Quando è iniziato l’attacco di Hts abbiamo cominciato a coordinarci con loro e siamo entrati in azione”.
Subito dopo la liberazione dalla dittatura, verso i territori siriani che si affacciano sul Golan e che distano un centinaio di chilometri a ovest di Suwayda, ha cominciato ad avanzare l’esercito israeliano. Lo stato ebraico, preoccupato dalla volatilità della situazione della sicurezza dopo la caduta di Assad, ha deciso di ampliare la zona cuscinetto che separa il Golan occupato dalla Siria. I militari di Tsahal sono entrati in alcuni villaggi, molti a maggioranza drusa, e hanno disarmato i residenti per poi cominciare a ritirarsi. I drusi sono sparsi tra la Siria, il Libano e Israele, ma oltre la metà di loro si trova qui, in questa regione a sud di Damasco, tra le province di Daraa e Suwayda, dove arrivano al 90 per cento della popolazione, mentre il restante 10 per cento è composto da cristiani. All’inizio della rivoluzione Israele ha sostenuto i ribelli del sud con aiuti umanitari e informazioni militari. Dal 2020, le proteste dell’opposizione di Suwayda contro il regime sono diventate le più intense e costanti di tutto il paese. Ora che Assad è caduto la presenza dei drusi nel Golan ha indotto Israele a corteggiare quelli sparsi nel sud della Siria, perché sono considerati un fattore di stabilizzazione su quel versante.
Lo scorso novembre, il nuovo ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, ha definito i curdi e i drusi “gli alleati naturali” dello stato ebraico. E nel villaggio di Hader, vicino a Quneitra, un imam ha dichiarato pubblicamente che è preferibile finire sotto il dominio israeliano che sotto quello degli islamisti di Hts che hanno deposto il regime.
Ahmad Sharaa, il capo del governo transitorio, ha avviato uno sforzo diplomatico massiccio per contendere i drusi all’influenza israeliana. Una settimana fa, il loro capo politico del Libano, Walid Jumblatt, è stato accolto calorosamente da Sharaa a Damasco, in un vertice altamente simbolico perché il primo di così alto livello tenuto in Siria da oltre mezzo secolo a oggi con un leader libanese. Ma nonostante la grande intesa mostrata fra i due, convincere i drusi del sud a deporre le armi e a unirsi a un unico grande esercito siriano al fianco di Hts è ancora un obiettivo lontano per Sharaa. Il comandante Jamul dice di volere solamente la pace e si rifiuta di condannare apertamente l’offensiva israeliana. Mentre mostra con orgoglio l’ex quartier generale del regime di Assad a Suwayda che i suoi uomini sono riusciti a conquistare, chiarisce che per i drusi “la guerra e la violenza sono haram (peccato, ndr), ma non se dobbiamo difenderci”. Il messaggio è rivolto più a Hts che agli israeliani. Una decina di giorni fa, in una conversazione riportata dal ricercatore Aymenn Jawad al Tamimi, lo stesso Jamul era stato ancora più esplicito: “Abbiamo molti parenti nel Golan. Vivono con dignità e Israele non è un regime che li prevarica”.