L'editoriale del direttore
Riportare in silenzio Cecilia a casa. Lo scambio di ostaggi non è uno scandalo
Gli americani insegnano che quando un regime tiene in ostaggio un tuo cittadino occorre fare qualsiasi cosa per liberarlo: lo scambio di ostaggi non è uno scandalo. Come accogliere l’invito al silenzio della famiglia di Cecilia Sala
I genitori della nostra Cecilia Sala ieri hanno comunicato il proprio desiderio di astenersi da commenti e dichiarazioni sulla prigionia di Cecilia e hanno chiesto senso di responsabilità, riservatezza e discrezione, anche attraverso un silenzio stampa, per non vanificare gli sforzi delle autorità italiane nelle trattative delicate per riportare presto Cecilia a casa. L’appello è legittimo, sacrosanto e comprensibile. Il modo migliore per accoglierlo è dare un’informazione essenziale, consapevole del dovere, come dicono i genitori di Cecilia, “che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione”. L’appello si può realizzare con la moltiplicazione degli sforzi, anche dei nostri, per offrire un’informazione sobria e responsabile in grado di evitare il rischio indicato dalla famiglia, quello appunto di allungare i tempi e rendere più lontana la soluzione che tutti desideriamo: riportarla presto a casa.
Non esistono scambi facili in guerra, ma gli scambi in guerra esistono e vale la pena, rispettando l’invito alla prudenza e alla discrezione fatto ieri dai genitori di Cecilia, di offrire elementi utili per ragionare nei prossimi giorni, possibilmente in silenzio, attorno a un tema che costituisce il vero elefante nella stanza nelle discussioni e nelle triangolazioni intorno alle trattative per il rilascio di Cecilia. In astratto, naturalmente, immaginare di cedere alle richieste di un regime crudele potrebbe apparire una prova di debolezza, un gesto di impotenza, una rinuncia esplicita a non alzare una bandiera bianca contro i paesi che arrestano cittadini innocenti solo per poterli scambiare con propri cittadini incarcerati non ingiustamente in altre parti del mondo. Eppure, nella nostra storia recente, le cose sono andate diversamente. E gli stessi Stati Uniti, che tradizionalmente hanno una politica di “non concessioni” verso gruppi terroristici o governi ostili, ogni volta che ne hanno avuto l’occasione, specie negli ultimi dieci anni, hanno fatto una scelta precisa, mettendo la sicurezza e il ritorno a casa in salute dei cittadini detenuti, anche attraverso negoziati difficili e umilianti, al centro delle proprie priorità. Non diremo, per rispetto, cosa dovrebbe fare il governo. Invitiamo solo a ragionare su quello che è successo in alcuni casi precisi.
Negli ultimi dieci anni, per dire, gli Stati Uniti hanno negoziato in diverse occasioni con Russia e Iran, gli stati maggiormente specializzati nell’arrestare cittadini occidentali innocenti per avere qualcosa in cambio, per ottenere il rilascio di cittadini americani detenuti e lo hanno fatto spesso attraverso complicati e dolorosi scambi di prigionieri. Nel 2022, per cominciare, Trevor Reed, ex marine statunitense, arrestato in Russia nel 2019 con l’accusa di aver aggredito un agente di polizia, è stato scambiato con Konstantin Yaroshenko, un pilota russo condannato negli Stati Uniti per traffico di droga. Sempre nel 2022, Brittney Griner, giocatrice di basket americana, dopo essere arrestata in Russia nel 2022 per possesso di sostanze stupefacenti, è stata rilasciata nello stesso anno in cambio di Viktor Bout, un trafficante d’armi russo detenuto negli Stati Uniti. Nel 2024, in un’operazione che ha coinvolto 26 persone, gli Stati Uniti hanno ottenuto il rilascio di diversi cittadini. Tra loro, Evan Gershkovich, giornalista del Wall Street Journal, arrestato in Russia nel marzo 2023 con l’accusa di spionaggio. Paul Whelan, un ex marine statunitense, detenuto in Russia dal 2018 con l’accusa di spionaggio. Alsu Kurmasheva, una giornalista russo-americana di Radio Free Europe/Radio Liberty, arrestata in Russia con l’accusa di non essersi registrata come agente straniero.
In cambio di questi rilasci, la Russia ha ottenuto la liberazione di diversi soggetti, molti dei quali pericolosi, tra cui: Vadim Krasikov, un ex agente dell’intelligence russa, condannato all’ergastolo in Germania per l’omicidio di un ex comandante ceceno a Berlino nel 2019, Artyom Dultsev e Anna Dultseva, una coppia arrestata in Slovenia con accuse di spionaggio, e Roman Seleznev, un hacker russo, condannato a 27 anni di carcere negli Stati Uniti per crimini informatici.
Anche con l’Iran, gli Stati Uniti, che ufficialmente non intrattengono relazioni diplomatiche con il regime degli Ayatollah dalla Rivoluzione islamica del 1979, ogni volta che ve ne è stata la necessità hanno intavolato trattative volte a liberare, costi quel che costi, gli ostaggi detenuti nello stesso paese in cui è detenuta Cecilia. Il caso più clamoroso degli ultimi anni, se vogliamo, è avvenuto il 18 settembre del 2023, quando cinque cittadini americani detenuti in Iran, alcuni da quasi dieci anni, sono stati rilasciati in cambio della liberazione di cinque iraniani detenuti negli Stati Uniti, quasi tutti in carcere per non aver rispettato alcune sanzioni imposte dall’America, e in cambio dello sblocco di sei miliardi di dollari di fondi iraniani congelati.
Nel 2019, la stessa sorte è toccata a Xiyue Wang, ricercatore della Princeton University, arrestato in Iran nel 2016 con l’accusa di spionaggio, liberato nel dicembre 2019 in cambio di Massoud Soleimani, un ricercatore iraniano arrestato negli Stati Uniti per violazione delle sanzioni, liberato insieme ad altri americani nell’ambito di uno scambio di prigionieri che portò alla liberazione di sette iraniani incriminati o imprigionati negli Stati Uniti per violazioni delle sanzioni. Nel 2014, venne arrestato in Iran Jason Rezaian, giornalista iraniano-americano, all’epoca capo dell’ufficio di Teheran del Washington Post, e venne rilasciato dopo un anno e mezzo grazie a uno scambio di prigionieri con gli Stati Uniti e lo sblocco di fondi iraniani congelati. Rezaian, conversando qualche giorno fa con il nostro giornale, ha detto che lo scambio non deve essere considerato come una questione politica ma come una questione di interesse nazionale e che la priorità per un paese che ha un suo cittadino arrestato in un luogo come l’Iran non è fare bella figura, con i principi, ma riportare a casa il suo cittadino, senza troppi fronzoli.
Il regime iraniano, due giorni fa, ha reso ancora di più esplicito, attraverso la sua ambasciata in Italia, cosa chiede in cambio del rilascio di Cecilia e il nome è ormai quello che conoscete: Mohammad Abedini, accusato, come si legge dal sito del dipartimento della giustizia americano, per “aver cospirato per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran, violando le leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni” e “accusato di aver fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera (FTO), che ha causato la morte di tre militari statunitensi, uccisi da un attacco unidirezionale con un Unmanned Aerial Vehicle (UAV), noto anche come drone, su una base militare in Giordania”.
Quando un regime arresta un tuo cittadino il punto non è se sia giusto o no scendere a compromessi con quello stato. Il punto è se sia giusto o no fare di tutto per riportare a casa il tuo cittadino e il punto è se sia giusto o no, come succede in guerra tra paesi e blocchi in conflitto tra loro, fare tutto il necessario per riportare quel cittadino a casa. Non esistono scambi facili in guerra, ma gli scambi in guerra esistono e non sono uno scandalo. Liberate Cecilia e, in silenzio, riportiamola a casa, costi quel che costi.
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