la lista americana

Le aziende cinesi che pongono un rischio per la sicurezza nazionale secondo il Pentagono

Giulia Pompili

Il dipartimento alla Difesa aggiorna l'elenco delle compagnie sensibili, perché contribuiscono alla Difesa cinese, e aggiunge Tencent, Catl e Cosco, che fanno affari anche in Italia

Ieri il dipartimento della Difesa americano ha aggiornato l’elenco delle aziende cinesi che, dopo diverse valutazioni da parte del Pentagono, dell’intelligence e dei sistemi di sicurezza nazionale, vengono considerate a rischio per via delle tecnologie dual use, cioè commerciali e militari, con cui fanno business. Attualmente la lista americana di aziende cinesi sensibili è fatta di 134 entità, e gli ultimi entrati nel gruppo sono giganti particolarmente noti: Tencent su tutti, uno dei più grandi conglomerati tech del mondo.

 

Subito dopo la notizia di ieri, le azioni Tencent alla Borsa di Hong Kong sono calate del 7 per cento. Il colosso fondato nel 1998, tra gli altri, da Pony Ma, Tony Zhang e Charles Chen, è attivo soprattutto nel gaming e gestisce la famosissima superapp cinese WeChat, ma negli ultimi anni ha diversificato molto i settori d’investimento aprendosi alla ricerca per l’intelligenza artificiale e ai servizi internet come i cloud. Nello scarno comunicato di ieri, il Pentagono non ha dato dettagli sulle motivazioni, che sono però facilmente desumibili: essere nella famigerata “Sezione 1260H” del National Defense Authorization Act non ha immediate conseguenze legali, non significa automaticamente sanzioni, ma è un danno d’immagine e di reputazione grosso per un’azienda. Il dipartimento della Difesa usa quell’elenco per mettere in guardia chi fa affari in America con quelle aziende, scoraggiando nuovi contratti, perché rafforzare i legami significa esporre il paese a rischi per la sicurezza nazionale. E’ un approccio di silenziosa pubblicità delle aziende più vicine alla leadership militare di Pechino, che serve da un lato a frenare l’ascesa della Cina come superpotenza militare, e dall’altro serve a indirizzare il business verso il cosiddetto friendshoring, cioè il rafforzamento dei legami commerciali con paesi che non sono una minaccia. Chi fa affari con le aziende della lista potrebbe avere problemi, un domani, a ottenere accordi con il Pentagono: è un approccio ancora drammaticamente lontano dalle politiche dei paesi europei.


I vertici di Tencent ieri hanno reagito alla notizia dell’etichetta di azienda dual use in modo piuttosto scomposto. Pony Ma ha fatto sapere in un comunicato di non guidare “né un’azienda militare cinese né un contributore alla base industriale della Difesa cinese”, e che discuterà della rimozione dalla lista e “se necessario, intraprenderà un procedimento legale”. Un negoziato che con tutta probabilità finirà sulla scrivania del presidente eletto Donald Trump, che già nel 2020 aveva provato a vietare WeChat – e le transazioni economiche che si possono fare tramite l’app – dal territorio americano con un ordine esecutivo per motivi di sicurezza nazionale. Quell’ordine era arrivato pochi giorni dopo quello, fallito, contro il social network TikTok, di proprietà dell’azienda cinese ByteDance. Negli ultimi cinque anni però molte cose sono cambiate, così come molte posizioni di Trump anche su TikTok, il che rende meno prevedibile la direzione che prenderà il negoziato fra Tencent e la prossima Amministrazione americana. 


Ma Tencent, che in Italia è presente soprattutto con una quota del 6,27 per cento di Satispay, non è l’unico colosso cinese a essere stato etichettato come pericoloso sul finale del mandato del segretario alla Difesa di Joe Biden, Lloyd Austin. Nella lista ora compare anche Catl, Contemporary Amperex Technology Co. Limited, la più grande azienda produttrice di batterie al mondo, che fornisce i dispositivi anche alla Tesla di Elon Musk, ormai braccio destro del futuro presidente americano Donald Trump. Catl per Pechino è forse ancora più strategica di Tencent, perché è dalle batterie di Catl che dipende gran parte dell’industria dell’auto fuori dai confini della Repubblica popolare cinese.

 

Soltanto un mese fa, Stellantis e il produttore cinese avevano annunciato un accordo per investire fino a 4,1 miliardi di euro nella creazione di una joint venture per operare un grande impianto europeo di batterie al litio-ferro-fosfato in Spagna, a Saragozza. Catl ha già due impianti operativi in Europa: uno in Germania e uno in Ungheria. Tra le altre aziende cinesi messe nell’elenco sensibile dal Pentagono compaiono ora anche la Autel Robotics, che produce droni già vietati negli Stati Uniti ed è sotto sanzioni da parte del governo inglese per il sostegno alla guerra di Putin contro l’Ucraina, l’azienda cinese produttrice di chip wireless Quectel Wireless Solutions e una delle più importanti società cinesi di microchip, l’ambiziosa ChangXin Memory Technologies (Cxmt) con sede a Hefei, che produce le memorie per far funzionare computer e veicoli intelligenti. Ma forse la compagnia cinese più importante, tra le nuove segnalate dal dipartimento della Difesa americano, è la China Ocean Shipping, abbreviato in Cosco,  la più grande compagnia di navigazione cinese e una delle più grandi al mondo. Per il Pentagono Cosco lavora anche per la Difesa cinese, ed è una mossa particolarmente dura per quello che rappresenta ormai il colosso cinese nel trasporto globale. Già nel 2019 l’Amministrazione Trump aveva sanzionato Cosco per il suo ruolo nel trasporto del petrolio iraniano sotto sanzioni, ma poco dopo la misura era stata revocata, secondo gli analisti anche perché la misura aveva portato i costi di trasporto marittimo a livelli record. Cosco attualmente controlla il porto greco del Pireo e ha interessi anche in Italia, con una partecipazione nel porto di Vado Ligure.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.