geografia trumpiana
La frattura (a suon di tweet) fra Bannon e Musk. I due schieramenti
Tutto è partito dall’immigrazione. Tra i “convertiti” tech ci sono Krishnan e Ramaswamy, poi i “veri Maga” e le “cerniere”
“Non puoi avere 500 milioni di amici senza farti qualche nemico”, era lo slogan che accompagnava l’uscita del film The Social Network di David Fincher sulla nascita di Facebook. Uno slogan simile si potrebbe applicare a Elon Musk. Non puoi fare 486 miliardi di dollari, controllare il prossimo governo statunitense, immischiarti nelle elezioni di mezza Europa senza farti qualche nemico. Andava bene quando il ceo di Tesla Elon Musk, diventato Maga – anzi, Dark Maga, direbbe lui – dava i milioni in giro ai candidati in campagna elettorale, ma adesso che sembra volersi trasferire alla Casa Bianca, che fa saltare i rari accordi bipartisan al Congresso e che non si toglie più dal salotto di Mar-a-Lago, inizia a infastidire alcuni repubblicani. Molti progressisti, e non solo, sperano che riesca a distruggere il Partito repubblicano, così come ha distrutto Twitter, cioè comprandoselo. Ma se il fastidio verso il megamiliardario restava silente, limitandosi a sussurri tra i corridoi di Capitol Hill, ora si è aperta una frattura, almeno a suon di tweet e di interviste. I media di sinistra la chiamano “guerra civile repubblicana” e i due schieramenti sono capitanati da due personaggi esemplificativi della nostra epoca, da un lato Elon Musk, dall’altro Steve Bannon, guru dei Maga, podcaster evoliano che ha contribuito a creare il Trump che conosciamo oggi. Globalista uno, isolazionista l’altro. Con i discorsi sull’annessione del Canada, del Canale di Panama e della Groenlandia, caldeggiati da Musk, più che sulla policy bannoniana America first sembra aprirsi il discorso su un nuovo impero territoriale americano, almeno nei sogni trumpiani, che vede le nazioni come business da acquisire. La guerra tra le due fazioni è diventata aperta quando si è toccato un tema fondamentale per una grande parte del mondo Maga: l’immigrazione. Dopotutto le elezioni Trump le ha vinte su due temi, l’economia e la difesa dei confini, con una incessante la retorica anti immigrazione arrivata a frasi come “stanno mangiando i cani e i gatti”. Il conflitto è partito con la decisione di Musk di difendere l’esistenza di visti (gli H1B) che permettono ai lavoratori stranieri di essere impiegati nel settore tech e arrivare nel paese in libertà. Bannon, che vorrebbe sigillare i confini con il silicone, è contrario.
I convertiti
Elon Musk. Alcuni in Congresso lo chiamano “il nostro primo ministro” e hanno paura della sua influenza su Trump, dopo che gli ha fatto cambiare idea su diverse policy. Moltissime nomine economiche del nuovo governo sarebbero state fatte da lui, e infatti Pennsylvania Avenue sarà piena di miliardari del tech. Dicono però che lo stesso Trump sia un po’ infastidito dal fatto che Musk non lo lasci mai in pace e se lo ritrovi in casa tutti i giorni. Ma gli ha dato 250 milioni per vincere le elezioni, e Twitter è diventato il nuovo social filo-trumpiano. Musk dice che il Gop deve liberarsi dei razzisti. “Il motivo per cui io stesso sono in America, così come molte persone fondamentali che hanno creato Space X, Tesla e alter aziende che rendono forte il pese è per via dei visti H1B”, ha detto.
Vivek Ramaswamy. Giovane miliardario anti-statalista si era candidato alle primarie repubblicane per poi salire sul carrozzone trumpiano. Nella twittersfera libertaria è diventato lo yes man di Musk, e secondo i piani sarà il braccio destro dello pseudodipartimento di efficienza governativa, il Doge. Fa tutto quello che gli ordina Musk.
Sriram Krishnan. Pietra dello scandalo, è stato lui a tirare fuori il discorso sui visti. Indiano di nascita, è stato scelto su pressione di Musk come prossimo advisor del presidente sull’intelligenza artificiale. Venture capitalist arrivato in America con un visto nel 2007, è considerato troppo pro immigrazione dal mondo Maga, perché vorrebbe più visti per la forza lavoro californiana. L’influencer di estrema destra Laura Loomer parlando di lui si è lasciata sfuggire un “invasore del terzo mondo”.
David Sacks. Veterano del mondo tech, amicone di Musk, membro della PayPal Mafia, anche lui con un podcast di successo, nella prossima Amministrazione sarà lo “zar dell’IA e delle crypto”, un ruolo che darà forma alle policy tecnologiche della Casa Bianca. Il suo primo obiettivo sarà la deregulation delle criptovalute, ma anche gestire, insieme a Krishnan, gli arrivi degli immigrati specializzati nel settore tech di cui, dice Musk, c’è bisogno perché l’America ha carenza di forza lavoro.
I veri Maga
Steve Bannon. E’ stato l’ideologo del primo periodo trumpiano, il padre intellettuale della destra alternativa e di America first, e ha deciso di guidare la resistenza tradizionalista anti immigrazione contro l’uomo più ricco del mondo a cui piacciono i confini un po’ più aperti. Ha detto che l’atteggiamento del ceo di Tesla è simile a quello “di un undicenne immaturo”. Di Musk e di altri broligarchi alla corte di Trump, che lui chiama “tecnofeudatari”, ha detto: “Sono dei convertiti, e sono i benvenuti. Ma i convertiti si mettono in terza fila e studiano per anni e anni per esser certi di aver compreso il credo e le sue sfumature” aggiungendo che “Peter Thiel, David Sachs, Elon Musk sono tutti sudafricani bianchi… Dovrebbe tornarsene in Sudafrica. Perché abbiamo sudafricani bianchi, le persone più razziste del mondo, a commentare su tutto ciò che succede negli Stati Uniti?”. Ha attaccato apertamente il ceo di Tesla dicendo che “è una persona davvero malvagia. Fermarlo è diventata per me una questione personale”, e vorrebbe farlo prima del 20 gennaio.
Laura Loomer. Non ha una posizione politica ufficiale, ma è stata per un periodo molto vicina a Trump. Dice che l’Islam è un cancro e che l’11 settembre è un inside job. Giovanissima, molto seguita sui social dove fa “giornalismo investigativo” contro il mondo woke filosilamista ha attaccato Musk dopo le sue posizioni pro immigrazione, dicendo: “Musk è repubblicano da 5 minuti e vuole decidere chi sono i veri repubblicani”. Musk per ripicca le ha tolto la spunta blu.
Byron Donalds. Deputato nero del Gop, il suo nome era stato fatto in passato dalla frangia destra Maga come possibile speaker alla Camera. E’ una delle voci più anti Musk dentro al Congresso, veterano del movimento Tea party, non vorrebbe ingerenze della Silicon Valley a Capitol Hill. E’ diventato uno dei principali supporter a Washington della gigantesca deportazione di immigrati promessa da Trump in campagna elettorale, un sogno bannoniano che si avvererebbe.
Ann Coulter. Opinionista polemista, autrice di libri come “In Trump we trust”, la sinistra la chiama “Barbie fascista”. Di recente si era un po’ disinnamorata di Trump, ma ha fatto campagna per lui perché “abbiamo bisogno di un muro al confine”. Non vuole altri immigrati e attacca Musk.
Le cerniere
Donald Trump Jr. Il figlio non prediletto, perché la prediletta resterà sempre Ivanka (“se non fosse mia figlia…” diceva in Tv il prossimo presidente). Don Junior negli ultimi anni si è dimostrato un fedelissimo megafono del padre, ed è stato lui a spingere perché scegliesse J. D. Vance come vice. Era così contento che il padre aveva vinto, anche grazie a lui, che adesso è preoccupato per questo terremoto interno. E così sta in mezzo, cercando di non perdere i favori del padre, che per ora sembra ancora sotto l’incantesimo muskiano. Con l’aereo marchiato Trump martedì Don Jr. è andato in Groenlandia e Musk gli ha fatto eco con un tweet dicendo: “Il popolo della Groenlandia deve decidere del proprio futuro e credo che voglia essere parte dell’America”.
J. D. Vance. Il vicepresidente eletto è la vera cerniera tra le due fazioni. Tolkeniano bestsellerista hillibilly millennial, è stato lui a tingere di rosso Maga la Silicon Valley. Quello che era un bastione progressista grazie alle sue manovre è diventata la fucina dell’esercito social e crypto di Trump, un’Isengard per la Mordor-Trump Tower. E’ stato lui, grazie anche al suo mentore Peter Thiel (altro alleato di Musk sui visti) a convincere i tech bros che è meglio essere libertari che liberali, che per le loro aziende zero regulations è meglio di un forte antitrust bideniano. Ma Vance è anche un attento seguace – seppur recente – dei tradizionalismi bannoniani, e non vuole certo stare dalla parte sbagliata, dato che ha fatto di tutto, rinnegando le frasi del passato come “Trump è Hitler”, per ottenere il posto. E così si ritrova schiacciato tra Palo Alto e il seminterrato di Bannon.