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Il colloquio

Lezioni californiane. L'ex governatore Gray Davis ci indica qualche soluzione alla crisi dei democratici

Matteo Muzio

Il partito “una volta era composto da una coalizione tra classe operaia, minoranze etniche e sindacati. Poi non ci siamo più occupati delle difficoltà delle persone comuni”. Ma per trovare un'identità definita, occorre dare importanza al tema dell’immigrazione

In questo periodo i democratici sono in forte crisi, alle prese con il ritorno imminente di Donald Trump alla Casa Bianca. In questa crisi che oltre che elettorale è identitaria, si parla molto (e non bene) del modello californiano di governo, che negli ultimi anni non ha potuto evitare che criminalità, alto costo degli immobili e dell’energia rendessero il Golden State un posto sempre meno accogliente. A cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio degli anni 2000 fu l’allora governatore Gray Davis a pagare per primo il prezzo. Una crisi immobiliare causa dall’esplosione della bolla delle cosiddette dot.com, i numerosi blackout nell’estate del 2001, e una serie di errori comunicativi lo portarono a perdere un’elezione di recall nel novembre 2003 contro l’attore Arnold Schwarzenegger, candidato repubblicano. Il Foglio ha raggiunto l’allora governatore per capire cos’è andato storto allora e capire quali lezioni si possono trarre oggi. 

 

Davis, classe 1942, ha una formazione da politico tradizionale: laurea in legge a Stanford e servizio militare in Vietnam, dopo una lunga carriera nelle istituzioni statali nel 1998 viene eletto governatore. Due mandati bruscamente interrotti dalla già citata campagna di recall vinta da Schwarzenegger. La prima domanda all’ex governatore riguarda proprio il Partito democratico californiano: com’è cambiato in questi ultimi vent’anni? “Il partito una volta era composto da una coalizione tra classe operaia, minoranze etniche e sindacati. Poi negli ultimi anni abbiamo superato questi confini, andando verso i laureati e i lavoratori del terziario avanzato”. Da questo ampliamento però, secondo Davis, si perdono dei pezzi: “Quello che a mio avviso non abbiamo fatto è occuparci delle difficoltà delle persone comuni nel far quadrare i conti” ed elenca i problemi sottostimati: “Pagare le bollette, mandare i figli a scuola, fare la spesa sono tutti fattori molto presenti nella vita delle persone”. E “abbiamo pagato un conto salato a non aver abbastanza badato a questo anche nella retorica politica”. Oltre a questo, c’è la questione del crimine e della sicurezza dei cittadini, la “priorità numero uno” di chi governa, o almeno così dovrebbe essere. Esempio negativo è San Francisco, dove invece la sicurezza ha scarseggiato negli ultimi anni, così come nel resto del Golden State. Come prova del malcontento, ricorda i risultati della Proposition 36 del 2024, un referendum propositivo che mirava a inasprire le pene per i furti e lo spaccio di droga. Non più illeciti, ma reati. “Lo scorso novembre il 68 per cento dei cittadini ha votato a favore di questo provvedimento. Segno che questa percepita tolleranza del crimine aveva stufato”. 

 

Davis però, come Joe Biden, è stato accusato a sua volta di non sapere ispirare fiducia e speranza nei momenti di crisi. Però ricorda che la crisi energetica del 2000-2001, con i numerosi blackout che hanno funestato le estati di quegli anni, vennero provocate anche dalle manipolazioni dei prezzi dell’energia fatti da Enron, azienda multiutility poi coinvolta in un crack epocale a fine 2001. E questo fu il primo tassello a intaccare la sua popolarità, forse il più importante, perché diede l’impressione che “io fossi incapace di fare il mio lavoro”. Prima ancora, all’inizio dell’anno 2000 era esplosa la cosiddetta bolla delle “dot com”. Un punto che in un certo qual modo connette anche al rapporto dei democratici con questo tipo di impresa, nell’epoca di Barack Obama eccessivamente fiducioso, poi demonizzante. “Certo bisogna pensare che i politici non sono mai dei fini conoscitori del tech come chi fonda un business del genere. Credo che questo tipo di industria abbia portato a conti fatti benessere in California, ma non dobbiamo dimenticare che le ricerche su Google e su ChatGpt richiedono grandi quantità d’energia e su questo bisognerà porre attenzione anche nel prossimo futuro”. 

 

Oggi i democratici sono alla ricerca di un’identità ben definita, Davis ha un consiglio: dare importanza al tema dell’immigrazione: “Non c’è elettore democratico che non voglia un controllo regolamentato dei flussi migratori. Certo, abbiamo avuto a che fare con i repubblicani che hanno rifiutato un accordo bipartisan lo scorso marzo per aiutare Trump, ma dobbiamo fare in modo di dare rilevanza a un tema che è percepito come estremamente importante dalla nostra base”. I democratici devono anche far fronte a quello che è stato l’immobilismo sui media nell’ultimo periodo dell’Amministrazione Biden: un punto, importante, su cui Gray Davis consiglia azione, è proprio quello di non ignorare i temi cari ai repubblicani, per non concedere loro l’egemonia mediatica che riporta Donald Trump alla Casa Bianca.