Storia della libertà di Cecilia attraverso la sua voce (e un sacchetto nero)

Paola Peduzzi

Le telefonate, le sprezzanti "agevolazioni" iraniane e gli inviti a non cedere alle bugie e alle intimidazioni. Ventuno giorni aspettando la giornata di ieri

La voce è tornata ed è questa l’unica unità di misura che abbiamo avuto a disposizione negli ultimi ventuno giorni per capire come stava la nostra Cecilia Sala, arrestata illegalmente in Iran il 19 dicembre, ieri liberata e rientrata a Roma. Ha telefonato quattro volte: quando è stata arrestata, il giorno dopo Natale, il primo giorno dell’anno e il 7 gennaio, che oggi sappiamo essere la vigilia della liberazione. Ogni volta il tono della voce è stato un segnale, l’unico.

La penultima telefonata, a Capodanno, è stata la più straziante,  la sua voce si spezzava e pure le rassicurazioni arrivate fino a quel momento su quelle che gli iraniani sprezzanti definivano “agevolazioni”: il pacco con i vestiti caldi, una mascherina per gli occhi contro il faro sempre acceso nella cella vuota, un nécessaire, quattro libri, gli occhiali non le era mai stato consegnato, anche se si era detto di sì.  E’ stato il momento più cupo perché s’è capito che il rumore scomposto era soltanto fuori dalla prigione, qui da noi, mentre dentro c’era un silenzio interrotto soltanto dalle bugie, dalle intimidazioni e dalle domande insistenti, da spezzarle la voce.

Quando Cecilia ha telefonato il 7 gennaio – aspettavamo questa telefonata: nei calcoli ossessivi per cercare di darci un ordine e delle scadenze, avevamo notato che la frequenza delle telefonate era di sei giorni, quindi doveva essere martedì, altrimenti cosa stava succedendo, un peggioramento delle condizioni? Nemmeno la seconda visita dell’ambasciatrice Paola Amadei era stata fissata con certezza – la voce era tornata, tutta diversa da quella della volta precedente, ma anche delle altre, c’era una maggiore consapevolezza sulla mobilitazione per lei, sapeva più cose riguardo a quel che stava accadendo fuori, l’isolamento era finito – Cecilia ha avuto una compagna di cella – e  un  libro era quasi letto fino in fondo. Il primo sollievo,  misto a un’accelerazione del governo, non abbastanza per gioire, ma sufficiente per un po’ di speranza sui tempi della detenzione, anche se incombeva l’“investigazione” delle autorità iraniane, che significa costruire un caso fasullo per poi arrivare a una condanna.

E’ il momento in cui tutto il rumore fuori diventa spaventoso dentro,  eppure i consiglieri del Washington Post e del Wall Street Journal che abbiamo sentito ogni giorno per consigli e indicazioni (hanno avuto giornalisti arrestati in paesi autocratici, c’è stata una solidarietà assoluta, conversazioni lunghe, ieri messaggi di felicità: grazie) dicevano: dovete continuare a ripetere che è tutto illegittimo, non lasciate che vincano le bugie e le intimidazioni.

Il pacco infine è arrivato: è un sacchetto nero con una scritta gialla, Cecilia l’ha riportato con sé.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi