L'intervista
Trump, il risparmio degli italiani, la difesa europea. Parla Davide Serra
Per il fondatore e amministratore delegato del fondo Algebris, c'è una strategia che potrebbe far cadere le ipocrisie europee e italiane dopo l'insediamento del prossimo presidente degli Stati Uniti. Scenari
Donald Trump può diventare un’occasione per l’Europa e per l’Italia, spiega Davide Serra al Foglio sfidando il senso comune italico con il common sense inglese. Non è un gioco di parole. Un secolo fa il filosofo George E. Moore pubblicò il suo saggio A Defence of Common Sense, difesa cioè della capacità di pensare e comportarsi in modo ragionevole, prendendo le decisioni migliori nelle condizioni date. Applicando il metodo Moore, il fondatore e amministratore delegato del fondo Algebris, è convinto che gli schiaffoni dati da Trump serviranno a far cadere le ipocrisie dell’Unione europea. Quanto all’Italia, oggi è più preparata ad affrontare le grandi trasformazioni; deve saper cogliere queste chance. Serra delinea tre scenari. Il primo è che il nuovo presidente americano applichi tariffe inferiori a quelle annunciate.
Ci sarà meno inflazione, il commercio internazionale potrà reggere, gli Stati Uniti cresceranno ancora, i mercati finanziari che hanno corso come dannati in questi anni continueranno a fornire denaro per gli investimenti. Il secondo scenario è che Trump imboccherà una strada davvero protezionista e isolazionista, allora il commercio internazionale si ridurrà in modo consistente, tornerà l’inflazione, l’intera economia mondiale cambierà dal lato dell’offerta. E’ la situazione peggiore, forse meno probabile, ma alla quale bisogna essere pronti.
C’è poi una terza ipotesi: Vladimir Putin farà la pace con Trump, il gas e il petrolio russo torneranno a inondare l’Europa e i mercati, i prezzi dell’energia crolleranno e con essi l’inflazione, l’economia riceverà una forte spinta dal lato dei costi. “Sarebbe un cambiamento positivo per tutti tranne che per gli Stati Uniti, considerando che il gas e il petrolio americano sono convenienti ai produttori solo con prezzi alti”. La stima degli esperti è oltre 80 dollari al barile e già oggi la media è attorno ai 60. Non solo. Gli Stati Uniti hanno tirato al massimo perché, una volta tagliata fuori la Russia, tutti compravano idrocarburi americani, soprattutto gas liquefatto. In Europa se ne sono avvantaggiati paesi come la Spagna con i suoi rigassificatori. La Cina, principale consumatore, sta attraversando una fase di difficoltà dovuta soprattutto alla gigantesca bolla immobiliare. “Il mattone ha assorbito risparmio quasi interamente cinese; quando scoppiò la bolla americana, gran parte degli investimenti venivano dall’estero, un crollo drammatico in Cina avrebbe una micidiale ricaduta domestica”. Pechino cerca di impedire il crac, però la situazione peggiora con il tempo. “Finché si costruisce nelle aree urbane a forte sviluppo, allora il ritorno è garantito – spiega Serra – Ma la febbre immobiliare si è spinta in zone interne spesso ancora rurali. E oggi c’è uno spettrale scenario di palazzoni vuoti”. La Cina, dunque, ci preoccupa per le sue debolezze interne non solo per le minacce esterne o per la competizione globale nelle alte tecnologie e nell’auto elettrica.
Anche applicando il common sense all’inglese, non si può sfuggire al pericolo che l’Amministrazione Trump e i suoi ideologi provochino un cambiamento di fondo del modello americano. Sempre più nella patria del mercato si estende il capitalismo di stato, anzi il “capitalismo clientelare”, ha scritto il Wall Street Journal. Anche Serra è preoccupato. “Manca solo che piazzino i militari a gestire le imprese”, dice con una battuta. E aggiunge: “Attenti a mettere i risparmi italiani tutti in mani americane come è accaduto finora”. E’ uno dei mutamenti nello scenario internazionale che possono offrire nuove occasioni se l’Italia sarà preparata. Strumenti come i Pir (Piani individuali di risparmio) che hanno avuto alti e bassi (alti con i governi Renzi e Gentiloni, bassi con i Cinque stelle, forse per loro ignoranza) oggi tornano convenienti. Certo buona parte del grande risparmio degli italiani viene risucchiata dal debito pubblico, anche per questo va ridotto, non solo perché è una condizione per far parte di Eurolandia. L’Italia, tuttavia, oggi è più forte e più stabile di prima. Secondo Serra il governo Meloni ha compiuto una scelta strategica di fondo che ha reso il paese più affidabile: “Ha rimesso al centro l’asse atlantista, senza se e senza ma. Ciò è destinato a pagare e in modo notevole. Finisce la doppiezza, la politica dei due forni. L’Italia ha compiuto una svolta completa rispetto all’asse Russia-Cina-Iran”. Cade insomma anche l’ipocrisia italiana. “Ma non c’è solo il governo, a confermare un maggiore ottimismo ci sono 60 milioni di italiani che hanno saputo affrontare grandi crisi e ne sono usciti in media più forti”.
A questo cambiamento s’aggiunge la grande ristrutturazione compiuta negli ultimi dieci anni dall’industria manifatturiera, che grazie alle esportazioni ha tenuto in piedi il paese. “Abbiamo perso un quarto delle imprese – sottolinea Serra – Ma quelle rimaste sono oggi più forti, più competitive”. Potremmo chiamarlo il “dopo Monti”, cioè il ciclo che si è aperto dopo l’intervento choc grazie al quale è stato evitato il default nel 2011-2012, senza ricorrere ad aiuti della Ue come la Grecia, l’Irlanda o la Spagna per le banche. Ormai le aziende italiane si sono insediate nei paesi dove ci sono i loro mercati. Certo, Trump potrebbe sempre imporre a una impresa “amica” di comprarsi la Jeep per colpire Stellantis, ma è difficile pensare a una nazionalizzazione su larga scala o alla espulsione massiccia di imprese che occupano lavoratori americani. Serra vede inoltre una politica europea più pragmatica, in particolare sulla transizione ecologica. Su questo la pensa come Claudio Descalzi: non si può cambiare in pochi anni un sistema costruito nel corso di un secolo, ha detto l’amministratore delegato dell’Eni. Ma la Ue deve prendere in mano con coraggio la difesa e la sicurezza; è forse la peggiore di tutte le ipocrisie. Anche in questo caso gli schiaffoni di Trump possono servire. E quelli di Elon Musk che vuole determinare le scelte politiche anche della Germania e del Regno Unito? Per Serra ci sono due Elon: da un lato l’ingegnere, l’innovatore, l’imprenditore e dall’altro tutto il resto. Con il suo biografo Walter Isaacson, Musk ha ammesso di essere bipolare. Allora è tutta una questione di personalità? Alla fine, è più pericoloso lui o George Soros, come dice invece Giorgia Meloni? “Pochi hanno fatto per la libertà e la democrazia quel che ha fatto Soros – risponde Serra – Senza dimenticare le attività benefiche della fondazione”. Su questo Musk non ci sente: quando Bill Gates lo invitò per parlare di filantropia, Elon rispose che erano stronzate, racconta ancora Isaacson. Ma Serra mette in risalto un’altra delle incongruenze che emergono da questo secondo mandato trumpiano: “Conosco bene Scott Bessent che diventerà il nuovo segretario al Tesoro. Lui ha lavorato a lungo con Soros e ha occupato posizioni al top nel Soros Fund Management”. Contraddizioni in seno al popolo o meglio al populismo.