l'editoriale del direttore
La lunga mano dell'Iran in una guerra che è tutto fuorché regionale
Smascherare la grande ipocrisia dell’umanitarismo antioccidentale: il motore della violenza e del conflitto in medio oriente non è Israele ma chi da decenni ne minaccia l’esistenza. E ha trasformato la sua guerra a Israele in una guerra al mondo libero
Vittoria dell’Iran? Un tubo. La notizia della scarcerazione immediata di Mohammad Abedini Najafabadi, l’iraniano detenuto nel carcere di Opera su richiesta degli Stati Uniti, scarcerazione imposta ieri dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, potrebbe spingere qualche osservatore superficiale a sostenere che alla luce del ricatto dell’Iran sul caso di Cecilia Sala – noi Iran imprigioniamo illegalmente una giornalista italiana e tu Italia se la rivuoi indietro devi liberare il cittadino iraniano che hai arrestato per conto degli Stati Uniti – l’Iran ha mostrato i muscoli, ha vinto la sua partita e ha mostrato la debolezza dell’occidente, costretto ad assecondare i ricatti di un regime criminale per poter ottenere il rilascio di una sua cittadina tenuta in ostaggio per ventuno giorni dal regime degli ayatollah. Se si osserva il singolo fotogramma, il ragionamento potrebbe avere una sua dignità. Se si osserva l’intero film, la questione cambia notevolmente e la verità è che il regime degli ayatollah, come osservato con saggezza qualche giorno fa sul Corriere della Sera dallo storico americano Daniel Pipes, è debole come mai prima in molti anni.
Il regime di Teheran sta perdendo sul terreno, dopo la caduta di Assad in Siria e lo smantellamento di Hezbollah e Hamas, incontra ormai serie difficoltà anche al suo interno, dove le manifestazioni di dissenso contro il regime seppur episodiche sono meno rare di un tempo, e l’arrivo di Trump alla Casa Bianca non promette nulla di buono per i tagliagole di Teheran. Quello che in verità il caso della nostra Cecilia ha dimostrato sul regime iraniano è qualcosa di diverso ed è qualcosa che si lega a quello che è successo in medio oriente negli ultimi mesi, durante i quali è emersa con chiarezza una grande ipocrisia portata avanti per anni dal partito unico dell’umanitarismo occidentale: che quella dell’Iran altro non è che una guerra regionale e che chi in medio oriente in questi mesi ha tentato di dar vita a una escalation per far diventare globale una guerra regionale è stato Israele. Non è così. Non è stato così. Ed è il contrario semmai.
La guerra combattuta dagli alleati dell’Iran contro Israele, in questi anni, è stata una guerra che ha avuto poco o nulla a che fare con le guerre regionali, e per capirlo basterebbe ricordare non solo le nazionalità dei cittadini detenuti illegalmente nelle carceri iraniane ma anche le accuse formulate dal dipartimento di Giustizia americano contro Abedini, accusato di aver fornito supporto all’Iran quando, nel gennaio del 2024, le milizie sostenute dall’Iran hanno ucciso tre soldati americani e ferito molti altri in un brutale attacco con droni alla base Tower 22 in Giordania. In questo senso, si può dire che i successi ottenuti negli ultimi mesi da Israele, anche contro l’Iran, hanno avuto l’effetto di mostrare uno squarcio di verità mettendo di fronte allo sguardo degli osservatori meno pigri una realtà difficile da negare: il motore primario della violenza, della guerra, delle escalation in medio oriente non è Israele ma è chi da decenni minaccia proprio l’esistenza di Israele, organizzando attentati contro Israele, colpendo gli amici di Israele, uccidendo gli alleati di Israele.
Ad aver trasformato i conflitti in medio oriente in conflitti non regionali non è stato Israele, in questi mesi, ma è stato l’Iran, che semplicemente ha cercato di colpire Israele, impegnandolo dal 7 ottobre 2023 su sette fronti diversi, da Gaza, dal Libano, dalla Siria, dalla Cisgiordania, dall’Iraq, dallo Yemen, oltre che dall’Iran, per provare a colpire i valori occidentali che Israele, in medio oriente, è l’unico paese in grado di rappresentare. E così facendo l’Iran, in questi mesi, prima di essere indebolito da Israele, ha trasformato la sua guerra a Israele in una guerra all’occidente. Non è stata una guerra regionale, quella combattuta in questi mesi, perché l’Iran, da tempo, muove le sue pedine in giro per il mondo con lo scopo ultimo di colpire gli amici di Israele.
Non è stata una guerra regionale, quella combattuta in questi mesi, perché l’Iran, alimentando il terrore anche al di fuori del medio oriente, ha finanziato i terroristi in giro per il mondo, trasformando gli amici di Israele in nemici da colpire ovunque sia possibile. In questi mesi, prima della svolta a Damasco, le milizie irachene sostenute dall’Iran hanno schierato combattenti nella Siria orientale, rifornendoli di lanciarazzi, con l’obiettivo di colpire i militari occidentali nelle basi della Coalizione internazionale nel governatorato di Hasakah.
Nel corso del 2024, le milizie irachene sostenute dall’Iran hanno condotto oltre 170 attacchi contro le forze statunitensi in Iraq e Siria. Lo stesso discorso, in fondo, vale per gli houthi, i terroristi yemeneti che da mesi si muovono per colpire il commercio nel Mar Rosso e che la scorsa settimana sono stati colpiti prima dagli Stati Uniti (giovedì) e poi da Israele (venerdì). Gli houthi, lo sapete, hanno condotto circa 190 attacchi contro navi commerciali nel Mar Rosso solo tra novembre 2023 e metà giugno 2024. Lo hanno fatto per indebolire Israele, in teoria, ma il risultato è stato colpire il commercio libero dell’occidente, tra il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo. E quando lo scorso 20 luglio l’Iran ha scelto di colpire Israele, ricorderete, lo ha fatto facendo partire un drone houthi modificato che ha colpito Tel Aviv dopo aver volato per almeno 2.600 chilometri, circostanza che ha dimostrato come l’Iran e i suoi partner abbiano ampliato la portata geografica dei loro sistemi d’arma per colpire il Mediterraneo orientale e altre aree (la capacità di colpire un obiettivo a oltre 2.500 chilometri dallo Yemen certifica tra l’altro che gli houthi sono in grado di lanciare droni che possono prendere di mira aree a nord fino a Cipro).
Guerra regionale dunque? Un tubo. E ancora. Molti dei droni usati dalla Russia per colpire l’Ucraina arrivano proprio dall’Iran, a proposito di guerra globale: sono i “droni Shahed”, lo Shahed-131 a lungo raggio e a traino e lo Shahed-136, e i missili che colpiscono l’Ucraina sono gli stessi che sono stati lanciati contro Israele il 30 aprile. E ancora. A fine gennaio, un anno fa, tre americani sono stati uccisi e 25 feriti in una base statunitense in Giordania, vicino al confine siriano, nell’attacco per cui è stato incriminato Abedini. E sono stati uccisi non a seguito di un attacco isolato ma come coronamento di una strategia più ampia, che ha visto le forze degli Stati Uniti in medio oriente colpite, solo dal 7 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024, 150 volte da attacchi condotti per procura dall’Iran. Guerra regionale dunque? Mica tanto. Il punto, in fondo, il punto da ricordare in queste ore, è proprio questo.
Solo chi continua a considerare la difesa di Israele un tema regionale, e non un tema che riguarda la difesa del mondo libero, può pensare che la minaccia iraniana sia una questione che riguardi solo un conflitto regionale. Solo chi considera la difesa di Israele come un valore negoziabile può chiudere gli occhi di fronte all’esportazione del terrore che l’Iran porta avanti non da giorni, non dal 7 ottobre, non come reazione, ma come azione, un’azione che nasce nell’istante stesso in cui l’Iran diviene una repubblica islamica e nell’istante stesso in cui Israele, o se volete “il sionismo”, diventa un obiettivo da distruggere per questioni ideologiche, non regionali. Solo chi considera la difesa di Israele un tema che coincide con la difesa di Netanyahu può chiudere gli occhi di fronte al fatto che l’Iran è il baricentro di un’alleanza del male che colpisce l’occidente in tutto il mondo (chiedere alla nostra Cecilia), che uccide occidentali in tutto il mondo (chiedere agli americani uccisi dai droni iraniani), che alimenta l’intifada contro gli ebrei in tutto il mondo (chiedere ai tifosi del Maccabi contro i quali è stato organizzato settimane fa un pogrom ad Amsterdam).
E solo chi vuole chiudere gli occhi di fronte agli equilibri in medio oriente può continuare a negare che la guerra difensiva combattuta da Israele per proteggere i suoi confini – contro gli ayatollah, contro Hezbollah, contro gli houthi e gli altri alleati nella regione – è una guerra che ha indebolito l’Iran, che resta debole nonostante il risultato ottenuto nella partita dello scambio di prigionieri (dove i successi in questo caso sono anche dell’occidente, che grazie al cielo, senza farne uno scandalo, è riuscito a trovare un accordo con un regime criminale prima del previsto).
E in questo senso, infine, solo chi considera i terroristi che colpiscono Israele come dei resistenti, come dei miliziani che in fondo non fanno altro che combattere nell’unico modo che possono un nemico più grande di loro, ovvero Israele, può chiudere gli occhi di fronte al fatto che un terrorista che colpisce Israele, o l’Ucraina, sta colpendo anche quello che Israele rappresenta, ovvero l’unico avamposto di democrazia nel medio oriente.
E solo chi considera negoziabile la difesa di Israele può chiudere gli occhi di fronte al fatto che indebolire i terroristi che minacciano Israele significa indebolire i terroristi che minacciano le società aperte, il mondo libero, le democrazie liberali. L’Iran, ancora oggi, minaccia Israele non perché Israele ha colpito un terrorista nel suo territorio. L’Iran minaccia Israele perché l’ideologia islamista che il regime degli ayatollah esporta in tutto il mondo considera Israele un obiettivo da colpire non per quello che fa ma per quello che rappresenta. E una volta riportata a casa la nostra Cecilia, anche nel nuovo anno scegliere da che parte stare, quando si parla di Iran nell’ordinario e non nello straordinario, non dovrebbe essere così difficile. Iran rafforzato? Un tubo. Guerra regionale? Un tubo. Aprire gli occhi e ascoltare la linea Pipes.
Cose dai nostri schermi