Sassonia, Riesa: Stephan Brandner, vicepresidente AfD, indossa una camicia con la foto di Alice Weidel (Foto Sebastian Kahnert via Getty Images) 

Lo spettro dell'estremismo al potere: la nuova questione tedesca

Angelo Bolaffi

La crisi della Germania e il cambio di passo necessario per non lasciare che a dettare l’agenda politica siano populisti rosso-bruni e neonazisti

Con un mix di preoccupato allarme e di malcelata soddisfazione che in qualche caso si trasforma in vera e propria Schadenfreude  (un sentimento quello della “gioia maligna” che a fasi alterne riaffiora nella dialettica delle relazioni italo-tedesche): così la profonda crisi che oggi caratterizza l’economia e la vita politica della Germania viene giudicata dall’opinione pubblica del Bel Paese e dai principali analisti di giornali e riviste.

  

L’elemento dominante di questa pessimistica diagnosi è la sorpresa per la fine della stabilità del sistema politico tedesco, una stabilità che fino a ieri gli italiani avevano ritenuto, forse  ancor prima dell’ammirata efficienza del sistema economico e produttivo, fosse l’elemento decisivo e fondante della Germania come Macht der Mitte Europas: potenza al/del centro d’Europa. Testimonianza di questa sorta di irritato spaesamento è la diffusa nostalgia nei confronti di Angela Merkel e del suo lunghissimo regno che nelle pagine dei principali quotidiani e nei talk-show viene celebrato come una sorta di perduta età dell’oro per il Vecchio Continente. Mentre nello stesso periodo tra il 2005 e il 2021 in Italia si erano invece succeduti ben 10 differenti governi: dall’ultimo di Berlusconi a quello di Draghi.

 

Ovviamente si tratta di una discutibile operazione di rilettura della storia: basterebbe ricordare le durissime critiche che questi stessi giornali e talk-show avevano rivolto alla cosiddetta politica di austerità economica che la cancelliera e la Germania avrebbero “imposto” all’Italia a metà degli anni 2000 durante la “crisi del debito”. In realtà l’Italia ha un vitale interesse che la Germania ritrovi la sua stabilità politica e soprattutto che la sua economia sappia riprendersi perché la Germania è il suo principale partner commerciale e il benessere del Bel Paese (cosa che spesso si dimentica) dipende in larga misura dal traino della “locomotiva tedesca”. E poiché non è mai un buon segno per l’Europa quando italiani e tedeschi non sono in sintonia, il fatto che i due paesi abbiano stipulato nel novembre dello scorso anno un Piano d’azione che, anche se non formalmente, in pratica ha la stessa valenza del trattato dell’Eliseo tra Francia e Germania, potrebbe favorire lo sviluppo di una comune azione europea: partire dal tema ormai ineludibile del controllo del fenomeno migratorio

  
Certo non è la prima volta che l’economia tedesca ha attraversato un periodo di grave crisi: per esempio all’inizio di questo secolo/millennio dopo il gigantesco sforzo per la sua riunificazione la Germania venne definita dall’Economist “il malato d’Europa”. Helmut Kohl (al quale nessuna critica potrà mai togliere i suoi meriti storici) aveva garantito una lunga era di stabilità politica al prezzo di un sistematico rinvio delle necessarie riforme economico-sociali. E anche allora una guerra, quella provocata dalla dissoluzione della ex Jugoslavia era tornata a insanguinare l’Europa – anche se non riuscì a offuscare l’euforica convinzione che la Wendezeit  (l’epoca del cambiamento) aperta dalla caduta del Muro di Berlino avesse davvero segnato la Fine della Storia.

 

Ma le apparenti similitudini tra quanto accaduto un quarto di secolo or sono e la realtà odierna ingannano. Infatti dopo le elezioni del 1998 e la formazione del governo rosso-verde guidato da Gerhard Schroeder e Joschka Fischer il sistema politico tedesco si dimostrò in grado di realizzare un radicale cambiamento dell’azione di governo: sia all’interno come sul piano internazionale. L’approvazione della Agenda 2020 fortemente voluta dal cancelliere socialdemocratico consentì una radicale riforma del sistema del Welfare e del mercato del lavoro che ha garantito alla Germania, come onestamente riconosciuto dalla stessa Merkel, i dividendi dell’età della globalizzazione facendo del paese il leader dell’export mondiale. In politica estera con l’intervento militare accanto agli alleati Nato a difesa del Kosovo nel segno di “mai più Auschwitz”, in questo caso per volontà del Verde Fischer, la Germania ruppe con l’autoimposto tabù del pacifismo assoluto.

 

Nulla di simile è accaduto dopo le elezioni del 2021 e la coalizione politica guidata da Scholz si è rivelata forse il più debole governo del dopoguerra tedesco gettando l’intero sistema politico in una crisi dalla quale sarà molto difficile uscire. Il prossimo Bundeskanzler dovrà trarre le conseguenze della Zeitenwende (dal cambiamento d’epoca) dopo la fine dell’era del libero commercio e del multilateralismo. Ciò significa mettere in pratica in economia e nella società una Agenda 2030. E in politica estera convincere gli elettori che la sicurezza del paese (e dell’Europa) non può più essere affidata alla benevolenza della leadership americana. E che per questo tocca alla Germania in un mondo segnato dalla competizione tra grandi potenze assumersi la responsabilità che per storia, geografia ed economia al paese impongono i nuovi imperativi geopolitici. Ecco perché oggi non è esagerato parlare di una “nuova questione tedesca”: in gioco non solo è il futuro della democrazia tedesca ma con essa quello dell’Unione europea. E di quello che resta dell’occidente.

 

Diversamente, esattamente come avvenne alla fine della repubblica di Weimar quando la Kpd (Kommunistische Partei Deutschlands) si alleò con la Nsdap (Partito nazionalsocialista dei lavoratori) a dettare l’agenda politica in Germania saranno l’estremismo del populismo rosso-bruno di Sahra Wagenknecht e quello neonazista della AfD (Alternative fϋr Deutschland) che ha nominato Alice Weidel candidata alle prossime elezioni del 23 febbraio. E la Weidel, dopo la pagliacciata del dialogo con Elon Musk in diretta sulla Piattaforma X – il politologo Carlo Masala ha detto sembravano “Barbie e the Joker” – in cui ha cercato di contraccambiare l’endorsement ricevuto dal consigliere in pectore di Trump presentandosi come una sorta di estremista neoliberista alla Milei, ha nel suo discorso di investitura rilanciato i temi “veri”con i quali punta a fare il pieno di voti: il revisionismo storico, l’appoggio a Putin e il progetto razzista delle “remigrazione” dei lavoratori stranieri.