Il Fmi elogia Milei e fa autocritica sul vecchio accordo fatto con l'Argentina
Il Fondo ammette il fallimento del precedente programma, tanto costoso quanto disastroso, siglato col vecchio governo peronista. E per la managing director Georgieva il piano del Loco è “il caso più impressionante della storia recente”
Il presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha più volte detto che la sua politica diventerà un modello globale. Il tipo tende a esagerare, ma qualcosa in questa direzione si sta muovendo. Non solo sui mercati internazionali – che apprezzano i risultati positivi, quasi miracolosi, per un paese che appariva senza speranze sia per gli enormi squilibri macroeconomici sia per la sua storia di defaultatore seriale – ma anche nelle istituzioni.
Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha appena pubblicato una “ex-post evaluation” dell’accordo del 2022 con l’Argentina e si tratta di una lunga autocritica (120 pagine) per l’impostazione di un programma che si è dimostrato tanto costoso quanto disastroso. L’Argentina veniva già fuori dal fallimento dell’enorme accordo del 2018, siglato con il presidente Mauricio Macri, che valeva 57 miliardi di dollari e rappresentava circa il 50 per cento dei prestiti totali dell’Fmi. La situazione era disastrosa per entrambe le parti: l’Argentina che sarebbe precipitata in una crisi profonda e l’Fmi che avrebbe perso credibilità oltre a un sacco di soldi.
Per evitare di iscrivere le perdite a bilancio, come accade spesso ai creditori troppo esposti, il Fmi scelse la strategia “extend and pretend”, ovvero “aspetta e spera”. Così nel 2022 fece con il nuovo governo peronista di Alberto Fernández (e Cristina Kirchner) un altro accordo da 44 miliardi di dollari, che doveva servire a ripagare i debiti in scadenza e a dare un po’ di tempo al governo per aggiustare gli squilibri. Ma il piano era troppo accondiscendente: quasi tutti i soldi venivano erogati in anticipo, mentre l’aggiustamento fiscale era posticipato a fine legislatura. La metà del consolidamento dei conti sarebbe dovuto avvenire nel 2024, dopo che oltre il 90 per cento del prestito era stato incassato.
Ovviamente il governo peronista, che peraltro era ostile all’Fmi e aveva un programma economico populista, ha preso i soldi e ha fatto il contrario di quanto pattuito. Nell’anno delle elezioni presidenziali, invece di ridurre il deficit, il ministro dell’Economia e candidato presidente Sergio Massa ha iniziato a spendere in misure populiste per comprare i voti, facendo stampare soldi alla Banca centrale. Alla fine del 2023 il deficit fiscale e quasi-fiscale era del 15 per cento, le riserve internazionali negative, l’inflazione fuori controllo oltre il 200 per cento e l’economia in recessione.
L’Argentina era sull’orlo dell’iperinflazione e dell’ennesimo default. Succede, però, che a sorpresa un libertario con la motosega vince le elezioni e attua un piano autonomo persino più duro di quello dell’Fmi: Milei porta immediatamente il bilancio in avanzo con un aggiustamento di 5 punti di pil, che è più del doppio di quanto l’Fmi chiedeva in tre anni, e attua profonde riforme di mercato che, dopo i primi mesi di recessione, rimettono l’economia su un sentiero di crescita. “Ci sono importanti lezioni da imparare”, scrive il Fmi, indicando le scarse condizionalità e la “bassa ambizione fiscale” del vecchio programma.
La managing director del Fondo, Kristalina Georgieva, ha definito la politica economica di Milei come “il caso più impressionante della storia recente”. Non c’è dubbio che la “lezione” di Milei, grazie a cui il Fmi può insperatamente vedersi restituire l’enormità di soldi prestati incautamente, avrà un impatto sui nuovi programmi di assistenza. A partire da quello che l’Fmi sta negoziando proprio con l’Argentina, che serve a Milei a rimuovere i controlli sui movimenti di capitale e riconquistare l’accesso ai mercati.
L'indiscrezione