le trattative tra israele e hamas

La ricetta di Blinken per cambiare il medio oriente

Micol Flammini

Nel giorno in cui tutti aspettano un accordo tra Israele e Hamas, il segretario di stato americano si prende la scena per svelare il piano per il futuro di Gaza. Inizia con la riforma dell’Anp, ma la vera rivoluzione è in mano ai sauditi

I sussurri di Hamas sull’accordo fanno sperare che il negoziato verrà concluso davvero, tanto che il segretario di stato Antony Blinken ieri ha preso la parola all’Atlantic Council per pronunciare un lungo discorso sul futuro del medio oriente. Più che all’accordo, negoziato, limato, rifiutato più volte dai terroristi della Striscia, Blinken ha sempre accompagnato lo sforzo dei colloqui con l’insistenza ossessiva sulla necessità di pianificare il dopoguerra dentro  Gaza prima che la guerra finisca. E’ stato lui stesso a pensarci con gli oltre dieci viaggi in medio oriente, fatti non soltanto per trovare una formula che permettesse il ritorno a casa degli ostaggi e la fine del conflitto a Gaza, ma anche per prevenire un senso di smarrimento quando sarebbero cessati i combattimenti e Hamas avrebbe potuto approfittare ancora di una situazione di caos. Quel momento sta arrivando e per Blinken la Striscia di Gaza dovrà essere affidata all’Autorità nazionale palestinese (Anp), per unire in futuro   il territorio che governa già in Cisgiordania e la Striscia di Gaza sotto uno stato palestinese. Il primo passo sarà riformare l’Anp, che è gestita dal partito Fatah, un tempo anche amministratore della Striscia prima di essere cacciato da Hamas. Non sarà semplice riformare un lento carrozzone corrotto come l’Anp, ma per quanto riguarda Gaza, secondo il segretario di stato che sta per lasciare il suo posto a Marco Rubio, è importante che la nascita di uno stato palestinese non sia legata a Hamas, che non deve ricevere nessuna ricompensa politica dopo il massacro del 7 ottobre contro i kibbutz di Israele e dopo aver scatenato una guerra che ha portato a un numero ancora incalcolabile di vittime: è stato Blinken a riportare le parole di Yahya Sinwar, capo di Hamas ucciso a ottobre, che chiamò le vittime civili un “sacrificio necessario”. L’Anp con Mahmoud Abbas ancora a capo non è in grado di gestire un territorio complicato come la Striscia, dovrà farlo con le Nazioni Unite. Hamas ha continuato a fare proseliti anche durante la guerra, ha raccolto i frutti della sua propaganda e i palestinesi della Striscia hanno continuato a credere nel suo piano nonostante le vittime e la distruzione. L’idea di Blinken è che Hamas non possa essere sconfitta soltanto con i missili, serve un piano politico per allontanare l’organizzazione dal potere. Lungo una linea temporale ben scandita, Blinken ha sciorinato le tappe: l’Anp dovrà invitare la comunità internazionale a stabilire un’amministrazione provvisoria a Gaza, responsabile di ogni questione civile dalla sanità all’istruzione e dovrà coordinarsi con Israele. La comunità internazionale finanzierà la costituzione di questa amministrazione provvisoria, supervisionerà le sue attività. L’Anp dovrà lavorare con un alto funzionario dell’Onu responsabile della ricostruzione di Gaza.  La sicurezza dovrà essere affidata a una forza temporanea costituita da palestinesi e paesi arabi, che subirà molti controlli per evitare che non abbia tra i suoi ranghi  affiliati di Hamas. Sarà questa forza di sicurezza la responsabile dei confini per evitare la diffusione del contrabbando in grado di resuscitare la potenza militare di Hamas, come avvenuto finora. Il ruolo degli Stati Uniti sarà di addestrare le forze di sicurezza dell’Anp, in modo che possano assumere il controllo e la responsabilità della Striscia in futuro. I paesi arabi sono già al corrente del piano, hanno accettato di partecipare, ma solo a condizione che Gaza e la Cisgiordania siano unite in futuro sotto un’Autorità nazionale palestinese riformata. Per Blinken     l’unica alternativa al ritorno di Hamas è l’Anp e l’Amministrazione Trump non la pensa in modo diverso. Ogni cambiamento è possibile grazie ai successi di Tsahal e attorno a questo nuovo assetto a Gaza, si infittisce il vero cambiamento in grado di rivoluzionare il medio oriente: la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita. 
Il piano non è inedito, assomiglia a tanti tentativi del passato e parlare del dopoguerra prima che la guerra sia finita è un rischio, ma Blinken voleva correrlo prima che finisse il suo mandato, ben sapendo che non avrebbe spinto Hamas ad accettare più rapidamente né avrebbe placato le liti dentro al governo israeliano che sono continue, ma sempre meno ricattatorie. Tra i cambiamenti di questi più di quattrocento giorni di guerra  il premier Benjamin Netanyahu è riuscito in un’operazione politica inaspettata: rendere meno vitali per la sopravvivenza del governo israeliano il sostegno, i capricci o i ricatti dell’estrema destra. Il ritorno degli ostaggi e la fine della guerra a Gaza sono necessari per concentrarsi sull’Iran: il vero ostacolo a un medio oriente nuovo.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)