isolamento energetico
Le difficoltà di Gazprom che contagiano i paesi amici di Mosca
A tre anni dall'invasione dell'Ucraina, Mosca controlla ancora il 60 per cento della società petrolifera serba Nis. Ora le sanzioni americane costringono Vucic a estrometterla. Intanto la Transnistria in piena crisi energetica bussa alla porta di Putin in cerca di aiuto
I contraccolpi delle sanzioni alla Russia mettono in difficoltà non solo il Cremlino, ma anche i governi che gli sono più amici. La Serbia si trova a dover gestire un delicato cambio di proprietà all’interno della sua compagnia petrolifera nazionale Nis, che a quasi tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina è ancora controllata per quasi il 60 per cento da Gazprom.
A mettere il governo del presidente Aleksandar Vucic con le spalle al muro è l’ultimo pacchetto di sanzioni degli Stati Uniti, approvato venerdì dall’amministrazione Biden, che per ridurre ulteriormente le entrate russe dall’energia prevede tra le altre cose anche il blocco di due importanti produttori di petrolio russi: Surgutneftegas e GazpromNeft. Nis è in mano per il 50 per cento alla seconda, a cui si somma il 6 per cento detenuto direttamente da Gazprom. Al momento il governo serbo controlla solo il 30 per cento del suo principale operatore petrolifero e secondo quanto previsto dalle sanzioni americane dovrà risolvere il rebus entro il 12 marzo se non vuole compromettere la sicurezza energetica nazionale, a rischio anche per la riduzione della produzione di gas comunicata dall’Azerbaigian nel fine settimana.
Le interlocuzioni tra Belgrado e Mosca sono iniziate subito. Ieri Vucic ha incontrato l’ambasciatore russo Aleksandr Bocan-Kharcenko per discutere di come uscire dall’impasse e ha fatto sapere che sono state avviate delle consultazioni tra i due paesi. Anche il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ieri ha affrontato la questione durante una conferenza stampa, confermando il dialogo in corso “con gli amici serbi” e sostenendo che gli Stati Uniti e l’Unione europea starebbero chiedendo alla Serbia di “tradire la Russia”.
La soluzione passa inevitabilmente per una nazionalizzazione della compagnia o per una vendita della partecipazione russa a un altro operatore. Secondo Politico, a dare una duplice mano a Serbia e Russia potrebbe essere l’amica Ungheria. Il governo di Budapest ha comunicato fin da subito che avrebbe seguito con attenzione lo sviluppo della vicenda per minimizzare le conseguenze e ora la sua compagnia petrolifera Mol potrebbe valutare di rilevare la partecipazione di Gazprom in Nis. Qualsiasi accordo dovrà essere approvato dall’Office of Foreign Assets Control degli Stati uniti che ha un unico obiettivo: tagliare tutti i ponti che portano guadagni alle casse di Mosca.
L’altro fronte di contraccolpi è quello che si è aperto dopo la scadenza del contratto tra Russia e Ucraina per il transito di gas verso l’Europa, lo scorso 31 dicembre. Oltre a Ungheria e Slovacchia, i due paesi europei che conservano i migliori rapporti con Vladimir Putin, in queste due settimane a soffrire di più le conseguenze è stata la regione moldava filorussa della Transnistria. Il piccolissimo territorio a est del fiume Dnestr non ha altri fornitori di gas eccetto la Russia, verso cui ha un debito di circa 800 milioni di dollari secondo l’agenzia russa Tass. Dopo il primo gennaio ha iniziato ad alimentare la sua centrale elettrica con il carbone e attivato black out programmati, sospendendo la produzione industriale e lasciando senza riscaldamento e acqua calda le famiglie. Il presidente della Transnistria, Vadim Krasnosselski, ha rifiutato l’aiuto della Moldavia, che pure ha adottato misure di risparmio energetico, e ieri si è recato a Mosca per tentare di trovare una soluzione. Ma anche il Cremlino ha le mani legate e le possibilità di aiutare chi bussa alla sua porta lamentando le conseguenze dell’isolamento energetico sono limitate.
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