Vladimir Putin (Ansa)

l'analisi

Quando le democrazie cedono ai regimi quasi mai ottengono la pace

Luigi Zanda

La storia non si fa con i “se”, ma il novecento qualcosa lo insegna. Da Monaco alla Crisi di Cuba e ora l’Ucraina: gli inneschi che avrebbero potuto provocare l'inizio di una terza guerra mondiale

Il rischio che la guerra in Ucraina e quella in medio oriente possano trasformarsi nell’innesco della terza guerra mondiale, questa volta atomica, è un incubo di tanta gente comune e tanti capi di stato. Ma fermiamoci all’Ucraina. Oltre all’Ucraina (aggredita) e alla Russia di Putin (aggressore) partecipano al conflitto molte altre potenze che forniscono armi, munizioni, uomini, informazioni, tecnologia, denaro. E’ già una guerra mondiale, sia pure indiretta. Ed è per interromperla e impedirle di allargarsi, che può diventare importante ricordare alcuni dei tanti momenti difficili del novecento. Qualche volta il passato aiuta a comprendere meglio il presente.

A settembre del 1938 il premier inglese Chamberlain e il francese Daladier firmavano con Hitler e Mussolini il famoso, anzi famigerato, Trattato di Monaco che autorizzava la Germania hitleriana a invadere illegalmente la regione dei Sudeti. Fu il forte desiderio di pace delle loro opinioni pubbliche a spingere Chamberlain e Daladier a quella firma, nell’illusione che Hitler, una volta ottenuto il consenso all’annessione dei Sudeti, si sarebbe fermato. Invece, per Hitler quella era la garanzia che l’Europa non avrebbe reagito alla sottomissione della Cecoslovacchia e alla guerra nel resto d’Europa. Quando le democrazie cedono all’illegalità dei regimi, è probabile che gesti compiuti cercando la pace producano conseguenze opposte ai desideri iniziali. E’ quel che è accaduto nel 1938. La cecità politica di Chamberlain e Daladier è evidente. Il loro cedimento era quel che serviva a Hitler per scatenare la sua guerra all’Europa.

Collegare meccanicamente gli effetti di un trattato del 1938 all’aggressione di Putin all’Ucraina del 2022 sarebbe un arbitrio, come lo sarebbe mettere sullo stesso piano Hitler e Putin. Ma così come Hitler voleva una grande Germania, altrettanto Putin vuole una Russia come quella dell’Unione sovietica e di Pietro il grande. Così come Hitler annullò l’accordo di Monaco, con altrettanta disinvoltura Putin ha violato l’accordo di Budapest del 2004, quando l’Ucraina cedette alla Russia le sue 1.900 testate nucleari e la Federazione russa si impegnò a difenderne i confini (!). E, infine, sia Hitler che Putin hanno risolto molti conflitti politici con la violenza e il delitto. In un tribunale queste consonanze storiche verrebbero considerate dei semplici indizi, certo non prove. Aiutano, però, a comprendere la visione imperiale di Putin e il quadro nel quale si inseriscono l’occupazione della Crimea del 2014 e l’invasione dell’Ucraina del 2022. 

Oggi, dopo tre anni, la guerra russo-ucraina mostra la corda. La storia racconterà con maggior distacco le vicende di una lunga guerra di aggressione tra una grande potenza ben armata come la Russia e uno Stato indipendente, più piccolo, meno armato, più povero, con molti meno uomini come l’Ucraina. Il progetto di Putin prevedeva che la Federazione russa stravincesse la guerra in due o tre giorni. Così non è stato, soprattutto per merito della resistenza ucraina. La storia dirà se e quanto la Russia, oltre alla evidente superiorità militare, abbia potuto contare anche su condizioni strategiche di vantaggio. Infatti, i missili e i droni che stanno distruggendo le città, gli ospedali, le industrie, le caserme, gli impianti ucraini vengono lanciati dal territorio russo, mentre i paesi che inviano armi all’Ucraina le vietano di colpire le postazioni di lancio. Un bel paradosso: ti possono sparare, ma tu non puoi rispondere!
La storia chiarirà le ragioni per le quali chi ha aiutato l’Ucraina rifornendola di armi, le ha impedito di difendersi alla pari da un aggressore senza scrupoli come Putin. La storia dirà se si è trattato di un errore di strategia o se, dimenticata la lezione di Monaco, qualcuno ha pensato che questo fosse il modo migliore per rabbonire Putin.

Monaco non è l’unico fatto storico del secolo scorso che viene in mente riflettendo sull’invasione dell’Ucraina. In realtà nella seconda metà del novecento ci sono stati almeno altri due momenti di grande tensione nei quali il rischio di far scoppiare una guerra mondiale era reale. Nel 1962 l’aviazione americana documentò fotograficamente che quando l’Unione sovietica negava d’avere propri missili atomici a Cuba, mentiva. A Cuba i missili c’erano realmente ed erano affidati a personale militare sovietico in abiti civili. Per di più, navi sovietiche ne stavano portando altri. John Kennedy impose il blocco navale di Cuba e intimò all’Unione sovietica di eliminare i missili già installati. Al termine di un duro braccio di ferro durato svariati giorni, Nikita Krusciov ordinò alle sue navi di tornare indietro e fece smantellare le postazioni missilistiche a Cuba. La vicenda è nota. Sono meno note le tensioni interne all’Amministrazione americana e le pressioni sul presidente a favore del bombardamento a tappeto di Cuba e della successiva invasione. Per Kennedy, decidere era difficile. In tempi di Guerra fredda, accettare la presenza a Cuba di innumerevoli vettori nucleari sovietici equivaleva a farsi puntare una pistola alla tempia. Allo stesso tempo, imporre con le armi all’Unione sovietica un dietrofront poteva scatenare una immediata reazione atomica. Kennedy, contro il parere di molti consiglieri, prese la saggia decisione del blocco navale. Krusciov comprese i rischi e i missili sovietici vennero ritirati. Le navi che ne trasportavano altri, tornarono indietro. Fu la fermezza di Kennedy a portare la pace. Se Kennedy avesse girato la testa dall’altra parte, sarebbero nate le premesse per la Terza guerra mondiale.

Un altro grave rischio il mondo lo corse nel 1980 e anche allora fu la consapevolezza della gravità del pericolo a far assumere agli Stati Uniti e, in Europa, soprattutto alla Germania e all’Italia, una decisione che ha prodotto la pace.  L’Unione sovietica aveva schierato i suoi missili offensivi a medio raggio SS20 lungo il confine con l’Europa occidentale. La risposta difensiva fu l’impianto, soprattutto nella Germania occidentale e in Italia, dei missili Pershing e Cruise, arrivando a quel bilanciamento di forze che era necessario per far sì che gli armamenti atomici delle due parti si neutralizzassero a vicenda. In Italia il dibattito sugli euromissili fu vivace e fu la fermezza prima di Cossiga e poi di Spadolini e Craxi a rendere possibile una decisione a così alto valore strategico. Che quella fermezza abbia prodotto la pace lo dimostra la firma nel 1987 di un trattato tra l’Unione sovietica e gli Stati Uniti per l’eliminazione di tutti gli armamenti nucleari a medio raggio installati in Europa.
                                                        
Le vicende del secolo passato sono molto diverse dalle crisi che stiamo vivendo, come sono diversi i rapporti internazionali, le condizioni della guerra e le prospettive della pace. C’è però una domanda di fondo dalla quale è difficile sfuggire: chi ha fatto di più per la pace, Chamberlain accordandosi con Hitler o Kennedy col blocco navale a Cuba? Daladier a Monaco o l’occidente con l’impianto dei missili Pershing? La risposta a queste domande può aiutare scelte da cui dipende il futuro del mondo.

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