(Ansa)

l'intervista

“Così Hamas vuole uscire vittorioso dalla guerra”. Parla lo storico Benny Morris

Giulio Meotti

L'accordo per il medio oriente è una vittoria di Trump che "ha costretto Netanyahu alla tregua e a rinunciare alla fine di Hamas",  l'indebolimento dell'Iran a causa del conflitto e il sostegno dei paesi occidentali e degli Stati Uniti a Israele

“Se la tregua si trasformerà in una vittoria di Hamas dipende da cosa succederà nei prossimi mesi”. Così al Foglio Benny Morris, 75 anni, professore emerito di Storia alla Ben Gurion University in Israele e noto per la sua ricerca innovativa sul conflitto israelo-palestinese. “Al momento è una piccola vittoria di Hamas nel senso che Netanyahu aveva detto che la guerra sarebbe finita con la distruzione di Hamas e Hamas è ancora lì, ha più combattenti oggi che all’inizio della guerra perché in questo anno ha reclutato molto ed è ancora capace di attaccare Israele dentro Gaza e al confine. Ora dipende da cosa succederà, se Hamas emergerà ancora al potere a Gaza. La vittoria più grande è di Trump, che ha costretto Netanyahu alla tregua e a rinunciare alla fine di Hamas”. 


Nel lungo termine, la Jihad ne esce rafforzata. “Ai jihadisti non interessa la vita umana, ovviamente non degli israeliani ma neanche degli arabi, per loro possono andare in paradiso. 15-17mila civili palestinesi sono stati uccisi e la popolazione di Gaza  per i prossimi anni vivrà nelle tende. Forse Hamas alla fine sarà meno popolare a Gaza, ma chi lo sa? I fanatici islamici hanno calcoli diversi degli occidentali”. Benny Morris liquida così le chiacchiere da Teheran sulla “resistenza palestinese”. “L’Iran ha perso: ha perso Hezbollah, ha perso Assad, ha quasi perso Gaza, ha perso le sue difese aree e ora fa solo propaganda”. Imputa al governo d’Israele un passo falso enorme rispetto alle dichiarazioni dell’ultimo anno. “Netanyahu con l’accordo si è rimangiato la promessa che Israele non si sarebbe ritirato dal corridoio di Philadelphia al confine egiziano, essenziale per fermare l’ingresso di missili e altro materiale bellico. Lo stesso vale per il corridoio di Netzarim, che taglia in due la Striscia di Gaza: se un milione di gazawi potranno tornare alle loro case a nord, questo significa che sarà irreversibile per Israele”. 


I cento ostaggi di Hamas si sono rivelati l’arsenale più prezioso dei terroristi. “L'uccisione di 1.200 israeliani e 250 ostaggi catturati è stato un terribile colpo psicologico per Israele, a cui si sono aggiunti  gli ostaggi  per oltre un anno nelle mani di Hamas. Questo ha anche deciso le sorti della guerra, perché Israele non ha potuto bombardare i tunnel di Gaza né entrare al loro interno senza mettere in pericolo la vita degli ostaggi. Quindi gli scudi umani sono stati la grande arma di Hamas. Inoltre, saranno rilasciati in totale 290 terroristi ergastolani e 1,687 altri prigionieri e detenuti in cambio degli ostaggi. Un grande successo per i fondamentalisti islamici. Nel 2011 per il solo Gilad Shalit hanno avuto oltre mille terroristi. E ora la misura è un soldato israeliano per cinquanta palestinesi. La società israeliana non è pronta a sacrificare questi ostaggi. Nella Seconda guerra mondiale i tedeschi rapirono il figlio di Stalin. E Stalin cosa fece? Disse loro: ‘Uccidetelo’. Israele non è fatto così. Siamo una società occidentale. Siamo una società basata sulla famiglia, una comunità, e poi le dimostrazioni fuori dalla casa di Netanyahu e della Knesset. Io penso che questa sia una debolezza, ma faccio parte di una minoranza. E’ una debolezza in guerra”. 


Questa guerra ha dimostrato molte cose. “La prima è che Hamas il 7 ottobre ha capito che Israele non era forte come pensavano. Poi l’attacco ha riportato la questione palestinese al centro dell’agenda mondiale. Terzo, l’Iran ne esce indebolito e con lui i suoi proxies. E forse finirà con Israele che attacca l’Iran alle sue installazioni nucleari. Poi c’è la questione occidentale: l’attacco ha scatenato l’antisemitismo che è sempre stato latente. Da una parte l’odio per Netanyahu, dall’altra l’irrisolta questione palestinese, infine l’odio per gli ebrei. Non parlo di tutto l’occidente: Stati Uniti e altri paesi occidentali hanno sostenuto militarmente Israele, ma sicuramente i campus”. E anche fra le opinioni pubbliche c’è differenza: “In America c’è ancora una maggioranza solida del pubblico che sta con Israele”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.