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La lista

Hamas pubblica i nomi degli ostaggi da liberare. I nomi, le storie e la domanda: chi è vivo?

Fiammetta Martegani

Nella prima fase della tregua, torneranno a casa 33 rapiti tra donne, bambini, anziani e feriti, senza definire nè l'ordine nè chi tra loro sia ancora in vita. E le famiglie attendono i loro cari continuando a tenere il fiato sospeso

Tel Aviv. Mentre in Israele si contano le ore fino al rilascio dei primi ostaggi, previsto per domenica alle 16.00, oggi Hamas ha presentato la lista ufficiale dei primi 33 rapiti che torneranno a casa nella prima fase della tregua, i cui nomi sarebbero stati concordati in base a ragioni umanitarie, avendo i mediatori israeliani insistito sul fatto che prima vengano consegnati i vivi e, solo alla fine, i corpi dei rapiti defunti. Priorità, dunque, a donne, bambini, anziani e feriti, che lasceranno Gaza scaglionati nei successivi 42 giorni, come previsto dall’accordo siglato a Doha lo scorso mercoledì. Stando all’intesa, a sette giorni dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, Israele riceverà un rapporto completo sullo stato di tutti coloro che sono sulla lista. Dopo che verranno rilasciati i primi tre ostaggi domenica e altri quattro sette giorni dopo, per un periodo di quattro settimane saranno liberati tre ostaggi ogni settimana, fino agli ultimi 14 della lista che saranno restituiti nella sesta e ultima settimana della prima fase dell’accordo.

  

            

La lista comprende dieci donne, di cui tre – pur non essendo stata dichiarata l’identità – dovrebbero essere proprio le prime a rientrare domenica. Tra queste dieci, cinque sono giovani soldatesse che appartenevano all’unità di sorveglianza elettronica con il compito di analizzare le immagini delle telecamere collocate lungo il confine di Gaza, rapite dai miliziani: Hamas fece irruzione nella base militare di Nahal Oz, uccidendo 52 soldati. Tra di loro Liri Albag (19 anni), il cui video è stato rilasciato da Hamas lo scorso 4 gennaio.

 

Trai 21 uomini – oltre ai 2 bambini – compare nella lista anche un arabo israeliano, Hisham al Sayed, beduino catturato dal gruppo terrorista nel 2015 in quanto presunto soldato dell’Idf, nonostante Israele abbia sempre dichiarato che si trattasse di un civile.Nove, nella lista, sono i rapiti con doppia cittadinanza. Tra questi, come aveva anticipato un funzionario dell’Amministrazione Biden, figurano due americani, Sagui Dekel-Chen (36) e Keith Siegel (65), che secondo fonti americane dovrebbero ancora essere vivi; due gli israelo-francesi:  Ofer Kalderon (53) e Ohad Yahalomi (49), come ha confermato il presidente della Francia Emmanuel Macron; due gli argentini: Yair Horn (46) rapito insieme al fratello Eitan (37); la britannica Emily Damari (27), il russo Sasha Trufanov (29) e l’etiope Avera Mengistu (38),  ricoverato in passato per problemi psichiatrici e scomparso nella Striscia il 7 settembre 2014. Pur essendo stati rilasciati i 33 nomi, non è stato definito né l’ordine di chi e quando uscirà dall’enclave né chi, tra questi, sia ancora in vita. Quindi, purtroppo, questa lista non rappresenta ancora un sospiro di sollievo per le famiglie che li attendono da ormai 470 giorni.

 

Si teme, soprattutto, per la famiglia Bibas: per i due fratellini Ariel e Kfir (di 2 e 5 anni), gli unici bambini ancora in ostaggio, dichiarati morti da Hamas nel novembre 2023, e i loro genitori Shiri (32) e Yarden (34), che era comparso in un video rilasciato dal gruppo terrorista in cui gli si comunicava la morte della moglie e dei figli a causa di un bombardamento da parte dell’esercito israeliano: l’intelligence non ha mai confermato la loro morte.

 

Oltre alla vita dei più piccoli si teme molto anche per i più anziani. Tra questi Gadi Moshe Moses (80 anni), Shlomo Mansur (86) e l’ottantaquattrenne Oded Lifshitz, uno dei fondatori del kibbutz Nir Oz, la cui moglie, Yocheved, era stata liberata nel novembre 2023. Noto giornalista, Lifshitz si era sempre impegnato nella promozione del dialogo tra israeliani e palestinesi, come la maggior parte di coloro che vivevano nei kibbutz presi d’assalto durante il massacro di sabato 7 ottobre.

 

Un sabato che non è ancora finito e che non finirà fino a quando non torneranno a casa tutti i 98 rapiti. Il cui destino dipende sempre di più da quello che accadrà durante i 42 giorni di cessate il fuoco. l ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir – leader di Otzma Yehudi, il secondo partito della maggioranza – è pronto a dichiarare le dimissioni, in quanto è contrario all’accordo. A causa della delicatezza della situazione ogni giorno, solo una volta che gli ostaggi saranno stati rilasciati nelle mani di Tsahal e le famiglie saranno state prontamente aggiornate, l’ufficio del primo ministro comunicherà i nomi dei rapiti che sono finalmente tornati a casa.
 

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