L'aumento di violenza in Pakistan incrina i rapporti con Kabul
Il ruolo dei talebani nell’escalation del 2024, soprattutto ai confini. La Cina guarda da vicino
Il 2024 è stato l’anno più violento dell’ultimo decennio per il Pakistan. Gli attentati compiuti da gruppi militanti sono aumentati del 70 per cento rispetto al 2023 e hanno lasciato sul terreno oltre 850 vittime, la maggior parte delle quali appartenenti alle forze di sicurezza del paese. A dirlo sono i numeri appena resi pubblici da due think tank pachistani, che fotografano una realtà sempre più tesa ed esplosiva. Il punto di svolta è legato al ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, nell’agosto del 2021. A pesare sarebbe soprattutto l’arsenale lasciato sul terreno dagli statunitensi durante la loro precipitosa fuga da Kabul: queste armi sarebbero confluite verso la “filiale” pachistana del movimento fondamentalista e verso il movimento separatista del Belucistan, aumentandone di molto la capacità di compiere attacchi e la letalità degli stessi.
Una volta di più i destini di Pakistan e Afghanistan sembrano quindi legati. Allargando lo sguardo al posizionamento internazionale di Islamabad, è proprio il rapporto con Kabul a preoccupare maggiormente per la stabilità regionale: il periodo tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 ha confermato questi timori. Dopo aver subìto attacchi da parte dei talebani pachistani, le forze armate afferenti a Islamabad hanno infatti risposto compiendo alcuni raid in Afghanistan, causando la morte di decine di civili. Il Pakistan accusa l’Afghanistan di offrire rifugio ai militanti, anche sulla base dell’affinità ideologica e operativa che contraddistingue i due gruppi. Un vero e proprio ribaltamento della dinamica che per decenni ha interessato l’area, quando era il governo pachistano a fornire protezione, quando non direttamente supporto finanziario, ai talebani, sulla base di un accordo informale che prevedeva che il territorio pachistano venisse però risparmiato e che gli attacchi venissero compiuti soltanto contro le forze statunitensi e il governo afgano sostenuto da queste ultime. A sorpresa, ai raid pachistani è seguita una risposta militare da parte dell’Emirato islamico. Lo stupore deriva soprattutto dal fatto che non si ritenevano gli attuali signori di Kabul né in grado né propensi a rispondere militarmente a un gigante nucleare come il Pakistan, cosa che invece è avvenuta. Significativo è il fatto che i talebani abbiano fatto menzione alla “linea ipotetica” che separa Afghanistan e Pakistan come area della rappresaglia, a sottolineare il loro totale disconoscimento del confine tra i due paesi disegnato a tavolino dagli inglesi alla fine dell’Ottocento e che andava sotto il nome di Linea Durand, con riferimento all’emissario britannico Sir Mortimer Durand.
Per quanto i talebani, molto più pragmatici di quanto spesso vengano dipinti, non abbiano interesse a soffiare sul fuoco di una possibile escalation nei confronti di un paese con cui hanno rapporti decennali, la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente nel 2025. Anche perché il percorso di accreditamento e di legittimazione regionale che i talebani stanno portando avanti con un certo successo ha iniziato a riguardare anche l’India, storico rivale del Pakistan. Pochi giorni fa negli Emirati Arabi Uniti si è tenuto un incontro ad alto livello fra il ministro degli Esteri di Nuova Delhi e l’omologo di Kabul. Durante il meeting il funzionario indiano ha sottolineato la disponibilità del gigante asiatico a supportare dal punto di vista umanitario l’Afghanistan e, dato sicuramente più significativo, la volontà del governo di Narendra Modi di aumentare i rapporti commerciali e logistici con il paese. Un riconoscimento ufficiale del regime dei talebani è ancora lontano all’orizzonte, ma con questa mossa l’India dimostra di non voler rimanere indietro rispetto ai rivali regionali nella corsa a mettere le mani sulle risorse afgane. Non solo: a seguito dell’attacco pachistano contro l’Afghanistan di fine dicembre, un portavoce del governo indiano ha condannato il raid, dichiarando che Islamabad spesso punta il dito contro i vicini regionali per evitare di ammettere il fallimento nel garantire la propria stabilità interna. Una vera e propria entrata a gamba tesa nel rapporto fra Pakistan e Afghanistan.
Alla finestra c’è ovviamente anche la Cina. Pechino è interessata a vari livelli agli sviluppi della situazione. La prima preoccupazione è legata alle maestranze cinesi attive in Pakistan, prese di mira in misura crescente da parte soprattutto dei separatisti del Belucistan, che si oppongono a qualsiasi progetto per la regione calato dall’alto. Negli scorsi mesi la Repubblica Popolare ha tuonato contro le autorità pachistane per la loro incapacità di garantire la sicurezza degli investimenti cinesi nel paese, che vanno sotto l’etichetta del China Pakistan Economic Corridor, il braccio locale delle Nuove Vie della Seta. È probabile che il 2025 porti un aumento del ruolo cinese sul fronte della sicurezza in Pakistan, fattore imprescindibile qualora Islamabad non voglia spingere Pechino a rivedere il proprio impegno finanziario. A inizio 2025 la Cina ha annunciato l’inizio della seconda fase degli investimenti nel progetto infrastrutturale che interessa il territorio pachistano, a rimarcare la volontà di scommettere ancora sulla regione. Ma i passi indietro non sono da escludere.
Il secondo fattore di timore per la Cina è legato al rapporto tra Pakistan e Afghanistan. Il leader cinese Xi Jinping sta puntando molto sulla collaborazione con i talebani, compiendo passi di riconoscimento politico, come l’accettazione del rappresentante diplomatico di Kabul a Pechino all’inizio del 2024, e puntando molto anche sulla cooperazione economica.
L’estate scorsa, ad esempio, hanno preso il via i lavori per lo sfruttamento da parte cinese del più grande deposito di rame conosciuto al mondo, a poche decine di chilometri dalla capitale afgana. La Cina investirà nel sito circa tre miliardi di dollari, sfruttandolo per tre decenni. Ecco che allora un’escalation tra Pakistan e Afghanistan sarebbe tutt’altro che favorevole per iniziative di questo tipo. L’eventuale pacificazione mediata dalla Cina sarebbe un ottimo test per certificare la propria presa diplomatica su due governi con cui i rapporti sono particolarmente stretti. Un po’ quanto fatto dalla Repubblica popolare nei mesi scorsi quando a essere interessato da scontri fu il confine tra Pakistan e Iran. Come detto, né Kabul né Islamabad hanno interesse al definitivo precipitare della situazione, ma a pesare sarà soprattutto la capacità delle forze pachistane di garantire la stabilità interna di un paese di 240 milioni di abitanti e fiaccato da una crisi economica senza fine.