(Ansa)

L'editoriale dell'elefantino

L'ipocrita pretesa palestinese: prima di chiedere uno stato, serve una classe dirigente

Giuliano Ferrara

Finché non nascerà un potere palestinese ripulito in radice da terrorismo, corruzione e ideologia di annichilimento del nemico sionista, non ci sarà alcuna autorità etica e civile per farsi stato

La classe dirigente israeliana è spesso sotto esame, allo scrutinio si associano le accuse, fino a mandati di arresto internazionali, fomentate da un’ondata odiosa e irresponsabile di antisionismo e antisemitismo, da uno spirito di delegittimazione che penetra fin dentro parti molto minoritarie dell’opinione ebraica, da sempre libera e critica senza complessi, com’è proprio delle democrazie, ma insidiata ora dal senso di colpa umanitario per le conseguenze della guerra generata dal pogrom del 7 ottobre 2023. Poi c’è il ruolo sacro dell’opposizione costituzionale e dei poteri giudiziari autonomi e della stampa e dei media, nonché del Parlamento che vota la fiducia ai governi e gliela toglie.

Costretti per ragioni di autodifesa a imporre l’occupazione di terre conquistate in battaglie che miravano a distruggerli, portate da nemici che in pochi casi hanno riconosciuto il diritto di esistere di uno stato legittimo e riconosciuto nel mondo, e in questi casi le terre sono state restituite senza problemi, dal tempo degli accordi di Camp David del 1978, gli israeliani hanno promosso insediamenti considerati illegali nella stessa logica di controllo e risposta allo stato d’assedio loro imposto; quando hanno restituito un territorio, Gaza, e sradicato insediamenti che su quel territorio insistevano, senza effettive garanzie della controparte e delle anime belle della comunità internazionale, la risposta è stata: sinagoghe bruciate, costruzione di tunnel blindati, lancio sistematico di razzi sulla popolazione civile israeliana, infine il pogrom e la presa di ostaggi in massa da parte di chi controllava la Striscia, Hamas, in alleanza con parti di una vecchia agenzia umanitaria dell’Onu, l’Unrwa.  


Anche le derrate di quattrini autorizzati ad alleviare la distretta degli abitanti di Gaza sono state usate per gli armamenti e la preparazione di un’impresa che ha sacrificato il numero maggiore di vite innocenti di ebrei dal tempo della Shoah, oltre che per la penetrazione in Cisgiordania di bande terroristiche capaci di tutto, come dimostrato nelle intifade dell’odio e del terrore martirologico, suicida, degli shahid. L’umanitarismo, per queste ragioni e per l’uso esplicito e teorizzato come scudo dei civili, dei campi profughi, delle moschee, degli ospedali, delle scuole, delle donne e dei bambini, si è rivelato un inganno ideologico disprezzabile. 


Ora che si spera in una tregua durevole, partendo da una soluzione parziale di scambio tra ostaggi israeliani vivi e morti e migliaia di palestinesi condannati da corti giudiziarie per gravi reati e omicidi e custoditi in carcere, comunità internazionale, diplomazia, stati, partiti, media, agenzie universalistiche, leader di opinione e di movimento pro palestinese, umanitari di tutti i paesi, dovrebbero tutti insieme fermarsi a riflettere, se li guidi un minimo denominatore di buona fede, su una considerazione elementare e decente: finché non nascerà un potere palestinese ripulito in radice da terrorismo, corruzione e ideologia di annichilimento del nemico sionista, cioè del popolo che vive nell’unica democrazia del medio oriente, ideologia ispirata dal fanatismo religioso islamista e generatrice fino a ieri di ben cinque fronti di assedio a Gerusalemme, uno dei quali con ravvicinate ambizioni nucleari, parlare di uno stato palestinese è solo una spregevole ipocrisia. Coloro che hanno imposto, mascherandola da resistenza, la tragedia attuale di Israele e dei suoi nemici parzialmente sconfitti, e degli incolpevoli sacrificati dalla guerra nata il 7 ottobre, non hanno alcuna autorità etica e civile per farsi stato.

La forzatura violenta è alla base nella storia della nascita di ogni stato, e l’avventura sionista e dell’indipendenza di Israele non ne è stata certo esente. Ma quella particolare forma di violenza che è il terrorismo assassino, e la pretesa che essa si incorpori in un processo di formazione statuale, è una linea rossa che non si può accettare e non si può valicare. Diplomazia, ragion di stato e ideologia usano a piene mani dell’ipocrisia, ma lo stato palestinese resterà un flatus vocis, un grido terrificante insieme di impotenza e di aggressività fanatica, finché forze risanate dal terrorismo e dalla corruzione e dall’oscurantismo islamista, opposto tenacemente a democrazia e diritti umani, non saranno rimpiazzate da una classe dirigente, da un potere palestinese in formazione e internazionalmente garantito, che rendano praticabile una strada non precaria alla tregua e, attraverso il lavoro di generazioni, alla pace. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.