La politica deve rispondere all'angoscia-fame di futuro. Musk l'ha capito
Fede, utopia e, sì, un po’ di inevitabile complottismo. L'imprenditoria e la politica sono le due personalità di proprietario di Tesla e l'una non può esistere senza l'altra
Elon Musk è un leader politico, e lo è in un senso antichissimo e allo stesso tempo interamente nuovo. E’ uomo della decisione e pertanto ha, in questa sua capacità data dalla sua stessa potenza operativa, la possibilità di creare una sorta di stato d’eccezione permanente globale di cui è potenziale signore. Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione, scriveva Schmitt. Allo stesso tempo, però, è uomo di mercato e quindi vive in quell’ambiente fatto di consenso che è ciò di cui il politico è sempre interamente affamato, poiché da quello è creato.
Il fatto che non potrà mai divenire un leader politico classico (non essendo nato negli Stati Uniti non potrebbe mai essere presidente) è uno stimolo ulteriore, in realtà naturale e spontaneo, a creare ciò che è per lui più ovvio: una leadership politica globale che ha in una torsione utopica (distopica? vagamente complottista?) la sua forza. Nessuna grande leadership, grande nel bene e/o nel male, è possibile senza componente utopica. Ma tutto quello che è l’orizzonte di “utopia” è sempre anche un po’ complottaro, per così dire, ha a che fare non tanto con la ragione ma appunto con i sogni, con ciò che esonda dal dato di realtà. Pensare di ridurre la politica a mera amministrazione del dato effettivo, a grande amministrazione condominiale, è stato il sogno sciocco, e quello sì utopistico ma ammantato di razionalità calcolante, di una politica europea presuntuosetta che pensava di avere nell’immagine ubbidiente e grigiastra dello scolaro che fa “i compiti a casa” la sua autolegittimazione.
A volte, si pensa di poter disgiungere il Musk imprenditore dal Musk politico. E’, invece, impossibile perché, a ben guardare, quello che Musk fa attraverso la hard science (quindi ben reale) delle sue aziende e il suo coté complottaro-utopistico non è disgiungibile. Non si può pensare il Musk “creatore” senza il Musk politico, oggi questa è una verità plastica.
Il suo genio (imprenditoriale e politico, tutto insieme – in lui teologia economica e teologia politica sono unite) sta, infatti, nell’aver proprio compreso il bisogno disperato di una nuova fede che ha avuto (e ha) nel greenismo, nel wokismo e in tante altre stupidaggini illiberali che ben conosciamo il suo orizzonte di dispiegamento da cui però una grossa parte della popolazione è da sempre tagliata fuori, da cui non si sente in alcun modo rappresentata. In fin dei conti, lui ha compreso benissimo che c’è bisogno di “sognare di nuovo”: ecco allora le sue macchine futuriste, i suoi razzi, il suo Marte, la sua libertà di parola totale.
Il paradosso reale e potente di Musk sta nel fatto che ora, con la sua contaminazione politica, sta facendo ciò che davvero gli interessa. Le aziende sono il modo che lui ha per mostrare che il futuro è non solo possibile, ma è potente, è affascinante e che allo stesso tempo deve essere interamente costruito. Tuttavia, per costruire quel futuro che lui intravede e che solo in parte ha in mente (il futuro lo si costruisce mentre lo si fa, e muta pertanto in continuazione) serve una massa mondiale di popolazione disposta a seguire quel sogno di futuro, a costruire quel futuro (una massa che sia mercato e politica). E buona parte della popolazione mondiale, oggi, ha bisogno di sognare un nuovo sogno, di essere fedele a una nuova fede, di abbracciare una nuova utopia. Per fare tutto questo Musk è disposto ad accettare anche un piccolo coté complottaro, che è però soltanto un marginale epifenomeno. Si tratta, di fatto, di mettere in concorrenza nuove utopie: mercato e politica.
Musk evidenzia un bisogno “epocale”, nel senso proprio dell’epoca, e se si vuole proporre una risposta alternativa non credo possa essere quella di una ordinata moderazione puramente raziocinante e burocratizzata. Se da un lato la politica non può più prescindere da una sostanziale e strutturale correttezza economico-amministrativa (nel senso che non si possono inseguire deliranti utopie neo-socialiste o neo-autarchiche, per intenderci) dall’altro la politica oggi non esiste come politica (ossia come attrazione del consenso) se non risponde anche a questa ansia-angoscia-fame di futuro.
Nella “massa”, in questo senso intesa non in senso puramente negativo, vi è un potente bisogno di “credere” nel futuro, in un futuro da costruire. In un nuovo orizzonte di Salvezza. Ecco perché l’operazione di Musk è, se osservata con un minimo di distacco, straordinariamente sofisticata e va a toccare gli aspetti più complessi di un mondo globale totalmente sprovvisto di fede, e a cui le politiche meramente razionali non bastano più. E non basteranno per il prossimo futuro.
Tutto ciò può certo anche inquietare, è vero ed è giusto. Ma i grandi sogni sono fatti anche di tenebre, di momenti cupi, di angoli oscuri, altrimenti come sarebbe possibile la Salvezza? Perché tanto resta sempre quest’ultima, in una forma o nell’altra, l’essenza di ogni volontà di slanciarsi verso il futuro, e di fare politica.