il colloquio
“La tensione tra promessa e azione è l'essenza del trumpismo”, ci dice Sam Tanenhaus
La cerimonia dell’insediamento vista assieme all’intellettuale americano che ci racconta il “modello McKinley” e la volontà di cancellare lo ius soli
“L’era d’oro dell’America inizia ora, l’America sarà rispettata di nuovo, saremo l’invidia di ogni nazione”, ha detto il 47esimo presidente Donald J Trump subito dopo la cerimonia di giuramento nella rotonda del Campidoglio. Intorno grosse tele con i momenti fondativi della nazione, da Colombo che scende dalla caravella a Pocahontas che si battezza. Sopra tutti quanti c’è l’affresco dell’apoteosi di George Washington, il padre della patria, trasformato in divinità, seduto tra le nuvole circondato da figure mitologiche e allegorie. Sotto l’apoteosi di Trump che dopo un tentativo di colpo di stato, le trafile giudiziarie, le sfide interne, le reductio ad Hitlerum, gli attentati e la parentesi bideniana è tornato, questa volta con il voto popolare. “Tutti ora vogliono essere miei amici”, ha detto qualche settimana fa in seguito alla parata di ceo nella sua Versailles della Florida.
Ieri tutti a cercare di trovare un posto a sedere tra i 600 disponibili dopo che l’evento è stato spostato dentro per il freddo atlantico, come era successo con il secondo Reagan dell’85. Musk, Zuckerberg, Bezos, Tim Cook, il ceo di TikTok, Meloni, Milei, Mike Tyson, Obama, le sconfitte Kamala Harris e Hillary Clinton. Uniche assenti l’ex speaker Nancy Pelosi e Michelle Obama. Quattro anni fa qui erano entrati i vichinghi a cercare la testa del vice Mike Pence, che si è presentato ma non è stato salutato da Trump nel suo discorso. Trump come Grover Cleveland che fu presidente per due mandati non consecutivi, a fine Ottocento. Un ritorno in pompa magna, con le pochette con scritto “Fight” in strass delle supporter e promesse di riportare la pace nel mondo. Ma, ci dice Sam Tanenhaus, storico e giornalista, a lungo editor della New York Times Book Review, “il vero modello è William McKinley”, e infatti viene citato a fine discorso. McKinley, un presidente che, dice il giornalista, “è noto per le sue politiche economiche mercantilistiche e basate sui dazi, un gingoista, e non mi sorprenderebbe se si ripetesse lo stesso pattern, con imprese imperiali come la guerra ispano-americana per Cuba, evento che rese famoso Theodore Roosevelt”.
Nel discorso, Trump ha parlato di come Biden ha rovinato il paese e di come lui risolverà tutti i problemi dell’America. “Tutto cambierà, e cambierà velocemente. In questo momento il declino dell’America finisce”, dice il presidente. Dittatore il primo giorno, aveva promesso, un po’ scherzando un po’ no, e nella Rotonda di Capitol Hill ha assicurato che firmerà un centinaio di decreti esecutivi – “una valanga”, dice Tanenhaus – per disfare l’operato di Biden, dichiarando un’emergenza nazionale per il confine sud che permetterà di mandare truppe, e reinstaurare la politica “resta in Messico” e designare i cartelli della droga come “organizzazioni terroristiche”. I suoi advisor sull’immigrazione come Steve Miller e Steve Bannon vorrebbero togliere lo ius soli, che, dice Tanenhaus, “è stato ratificato dopo la Guerra civile con il 14esimo emendamento, garantendo la cittadinanza a tutti i neri nati negli Stati Uniti. L’obiettivo è ovviamente negare la cittadinanza ai figli degli immigrati irregolari, i così detti ‘bimbi àncora’. I costituzionalisti dicono che è illegale. Nessun presidente può cambiare la Costituzione con un colpo di penna. Ma la tensione tra promessa e azione è nell’essenza del trumpismo”. E questo ricorda alcuni presidenti del passato, che avevano una “eccellente retorica come i due Roosevelt, John F. Kennedy, Ronald Reagan, Barack Obama. Una grande differenza rispetto ad altri, come il predecessore Biden, o Lyndon Johnson, Gerald Ford, Jimmy Carter e il primo George Bush, che ha fatto ottime cose nel suo mandato ma non è riuscito a esaltare i suoi elettori”. Ma Trump sembra davvero deciso a cambiare le cose, con un tono più pacato del solito. “Se decidesse seriamente di sfidare lo ius soli potrebbe reprimere altre leggi”, dice Tanenhaus “ad esempio il 22esimo emendamento che limita la presidenza a due mandati, dato che è stato ratificato nel 1951 ed è molto più recente del 14esimo”. Trump, tra gli ordini esecutivi, ha deciso anche di dichiarare un’emergenza per le risorse energetiche, nella prospettiva di un ritorno massiccio al fossile – il petrolio è il nostro “oro liquido” – e farla finita con le auto elettriche e il Green New Deal bideniano e uscire dagli Accordi di Parigi sul clima, come aveva già fatto nel primo mandato, oltre a distruggere i programmi di diversity all’interno dello stato federale. “Da oggi ci sono solo due generi: maschio e femmina”, ha detto.
Il discorso sembra un misto tra le idee di Bannon e le richieste di Musk, con tanto di bandiera a stelle e strisce su Marte. “E’ una perfetta combinazione”, dice Tanenhaus, “è difficile trovare un presidente recente, forse l’ultimo è stato Reagan, capace di tenere insieme con facilità le diverse fazioni. Ma la cosa che più mi ha colpito è questa frase ‘negli ultimi otto anni sono stato sfidato più di qualsiasi presidente in 250 anni di storia’. E’ come se dicesse di esser rimasto presidente anche negli anni di Biden. E in qualche modo è stato così. Nessuno mette in dubbio che sia stata una figura dominante nella nostra politica dal 2016. Oggi è il suo mondo, e noi ci siamo dentro, che ci piaccia o no”.
Trump, che a 78 anni è il più vecchio presidente a instaurarsi alla Casa Bianca, ha parlato di “rivoluzione del buon senso”, e dell’inizio di “una nuova esaltante era di successo nazionale”, perché “un’ondata di cambiamento sta arrivando nel paese”, ed è il momento di ritrovare “la vitalità della più grande civiltà della storia”. “Dio mi ha salvato per rendere l’America di nuovo grande”, ha detto Trump, con continui applausi iniziati dal suo vice J. D. Vance, che ha giurato poco prima di lui dicendo che proteggerà la Costituzione. “Oggi è il giorno della Liberazione”, ha detto il 47esimo presidente, serio. Non sarà come il 2016, dicevano, e infatti a Washington è da giorni che si festeggia, tra balli in frac con Liz Truss, Snoop Dog, imitatori di Elvis e party organizzati dai cryptoboys. Se otto anni fa l’America era presa di sorpresa, questa volta tutti sembrano accettare altri quattro anni di Make America Great Again, tra confezioni celebrative di Coca Cola Light e prezzi alle stelle per l’immobiliare del District of Columbia. Domenica, la sera prima dell’inaugurazione, ancora semplicemente da presidente eletto, mentre Biden svuotava la Casa Bianca, Trump ha dato ai suoi supporter la festa che per il gelo non c’è stata sulla spianata di Washington. Alla Capitol One Arena i suoi adorati Village People che, con lui sul palco, hanno cantato e ballato YMCA, inno non ufficiale del trumpismo. Kid Rock ha fatto urlare alla folla: “Let’s go Brandon”, che è un modo in codice per dire “Fanculo Joe Biden”. Prima di andarsene Biden, dopo aver avvertito l’America del pericolo degli “oligarchi”, come ultimo gesto ha firmato delle grazie preventive per quei nemici di Trump minacciati dal mondo Maga, a rischio ritorsione giudiziaria. Tra questi Anthony Fauci, il medico della Casa Bianca che organizzò la campagna vaccinale, e i membri della commissione della Camera che si occupò dell’impeachment a Trump, tra cui l’ex deputata Liz Cheney, oltre a personale della polizia che testimoniò sull’attacco al Campidoglio.
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