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Ostaggi, Onu e ong

A Gaza mille organizzazioni non governative, ma nessuno vedeva i rapiti israeliani

Giulio Meotti

In 471 giorni di prigionia degli ostaggi israeliani, praticamente nessuna ong occidentale ha mai chiesto il loro rilascio incondizionato, senza se e senza ma. Mentre la Croce Rossa firma il “certificato” di liberazione consegnato da Hamas alle tre donne liberate domenica

“Fuck him”. Così Tlaleng Mofokeng, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sul diritto alla salute, domenica si è rivolta al premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma lasciamo stare l’Onu, la sua agenzia Unrwa (che ha ricevuto dieci miliardi di dollari dal 1990 al 2022 dai soli paesi occidentali e la cui compromissione con Hamas è stata ampiamente rivelata e denunciata dal 7 ottobre) o UN Women, che ci ha messo sei mesi per dire qualcosa sugli stupri al Nova e niente sulle immagini delle tre donne israeliane che domenica passavano in mezzo alla folla urlante “Allah Akbar” a Gaza. A Gaza, 365 chilometri quadrati per due milioni di persone, ci sono mille organizzazioni non governative, un terzo delle quali straniere (anche quelle palestinesi ricevono lauti finanziamenti occidentali). Gaza ha la più alta concentrazione mondiale di benemerite ong

In Congo, due milioni di chilometri quadrati per 95 milioni di persone di cui nove milioni sfollati, sono presenti lo stesso numero di organizzazioni non governative che a Gaza. In 471 giorni di prigionia degli ostaggi israeliani a Gaza, praticamente nessuna ong ha mai chiesto il loro rilascio incondizionato, senza se e senza ma
Nessun campagna di Save the children per Kfir Ariel Bibas, i bambini israeliani di uno e quattro anni, mentre tante sui “missing children of Gaza” e  “Rimani al fianco dei bambini di Gaza” che campeggia sul sito italiano della ong.  O prendiamo la benemerita Medici Senza Frontiere. Denuncia Ngo Monitor che la ong ha ripetutamente negato che Hamas fosse presente negli ospedali di Gaza. L’account X di Medici Senza Frontiere non ha mai citato solo le vittime israeliane. Medici Senza Frontiere non ha fatto alcun riferimento agli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza né ha fatto campagna affinché ricevessero cure mediche. 

“Ero piena di lividi, sanguinante, con la testa aperta e nessuno è venuto ad aiutarmi, né la Croce Rossa, né i medici, nessuno”, ha detto a dicembre Noa Argamani, salvata dalla prigionia a Gaza sei mesi fa con un’operazione delle forze speciali israeliane. In effetti la Croce Rossa Internazionale, nelle cui auto domenica sono rientrate in Israele le prime tre donne israeliane (Romi Gonen, Emily Damari e Doron Steinbrecher), non si è comportata meglio e da un anno è accusata dalle famiglie degli ostaggi israeliani di non aver mai fatto loro visita (neanche al caporale Gilad Shalit, cinque anni nelle mani di Hamas)

Del pregiudizio di Amnesty International, che non è presente a Gaza ma che difende molto bene le ragioni palestinesi sui forum mondiali fino ad accusare Israele di “genocidio”, si è scritto molto. Alla notizia del cessate il fuoco, Amnesty  Stati Uniti ha scritto: “La notizia che è stato raggiunto un accordo tra Israele e Hamas porterà un barlume di sollievo alle vittime palestinesi del genocidio israeliano. Ma è amaramente in ritardo”. Niente sugli ostaggi. E Hamas lo sente, questo silenzio delle ong occidentali. A ciascuna delle tre donne rilasciate domenica, Hamas ha dato una “borsa regalo” prima che fossero consegnate alla Croce Rossa, incluso una specie di “certificato” della liberazione. La Croce Rossa lo ha firmato. Scrive Ahmed Fouad Alkhatib, nato a Gaza e oggi all’Atlantic Council: “Far sfilare giovani donne israeliane in ostaggio di fronte a una folla non è solo terribile per le donne, ritrae gli abitanti di Gaza in una luce orrenda. Ad Hamas non dovrebbe essere permesso. Che una ong rispettata come la Croce Rossa sia una volontaria partecipante a questo spettacolo è vergognoso e ingiustificato”.  Una delle israeliane liberate domenica, Emily Damari, fa il segno della vittoria: me le mancano due dita. Nessuno sembra essersi domandato perché.
 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.