L'editoriale del direttore
L'orrore del 6 gennaio che si fa ragion di stato
Le promesse del nuovo presidente sono mostruose, ma altre potrebbero apparire tutt'altro. Il fine invalida i mezzi. Ribaltare Machiavelli per difendere la democrazia liberale dalle imposture di Trump
Il primo giorno di Donald Trump è cominciato ieri con una cerimonia pirotecnica, un discorso spaventoso anche se lontano da quello incendiario del 2016, un pacchetto robusto di ordini esecutivi e con un insieme di pensieri che ha avvolto le menti di tutti coloro che in queste ore si stanno ponendo una serie di domande terribilmente scontate ma drammaticamente necessarie sulla famigerata “età dell’oro” evocata ieri dal nuovo presidente americano: che razza di presidente sarà il secondo Trump, quanto ci potrà spaventare, quanto ci potrà sorprendere, quanti danni potrà fare? Noi, come sapete, tendiamo a essere ottimisti. Il famoso bicchiere mezzo pieno ci piace più del bicchiere mezzo vuoto. Ma di fronte a Trump viene naturale diffidare di tutti coloro che, con ottimismo spericolato, cercano di raffigurare un Trump percepito, un Trump delle possibilità, un Trump delle opportunità, che in quanto lontano dalla realtà altro non è che un Trump dell’irrealtà. E dato che l’incoerenza riformista è una dote rara, non tutti sono come Giorgia Meloni, ci sono ragioni solide per pensare che il nuovo Trump, che ha infiniti contrappesi in meno rispetto al primo Trump, sia drammaticamente simile e coerente a quello osservato negli ultimi mesi e negli ultimi anni.
Quello, per capirci, che ha promesso di chiudere il confine tra Stati Uniti e Messico, di avviare la più grande operazione di deportazione interna nella storia americana, graziare gli imputati del 6 gennaio, incriminare i giudici che lo hanno indagato, promuovere politiche anti vacciniste, diventare l’alleato di tutti i complottisti del mondo, annettere il Canada agli Stati Uniti, prendere la Groenlandia, disimpegnarsi dall’Ucraina, inondare il mondo di dazi, portare avanti una guerra commerciale contro l’Europa e molto altro. Le promesse di Trump sono mostruose (cospirazionismo, complottismo). Ma alcune scelte che Trump potrebbe fare potrebbero apparire tutt’altro che mostruose (difesa di Israele, lotta contro la cancel culture). E per provare a trovare una lente per decrittare il trumpismo può essere utile servirci di Niccolò Machiavelli.
In un saggio dedicato a Trump qualche giorno fa, la rivista Foreign Policy ha ragionato sulla “pazzia” di Trump, offrendo una chiave politica suggestiva. La teoria del pazzo, ha scritto Fp, presuppone che non sia un vantaggio universale, in situazioni di conflitto, essere inalienabilmente e manifestamente razionali e postula che un leader che si comporta come se potesse fare qualsiasi cosa ha maggiori possibilità di convincere altri attori globali a fare concessioni che altrimenti non farebbero (“a volte – scrisse Machiavelli nei “Discorsi sopra la Prima deca di Tito Livio” parlando di Lucio Giunio Bruto – è una cosa molto saggia simulare la follia”). A Trump piace machiavellicamente pensare che la sua imprevedibilità possa essere un vantaggio. Il tempo ci dirà se avrà ragione. Ma nel pensiero di Machiavelli c’è un’altra espressione che ci può aiutare a capire qualcosa di più sulle trappole del trumpismo. Nel “Principe” (1532), Machiavelli utilizza la famosa frase “il fine giustifica i mezzi”, frase riferita ad azioni legate alla ragion di stato.
Nella stagione del trumpismo però, la teoria merita di essere ribaltata. Con Trump, i mezzi non giustificano il fine. Ed essendo il fine di Trump quello di indebolire la società aperta, smantellare la democrazia liberale, promuovere la cultura del complottismo, ogni mezzo che può apparire positivo se messo al servizio di una causa pericolosa non può che essere losco, non può che essere invalidato e non può che essere considerato nient’altro che un’impostura (il fine è osceno e anche se ci sono mezzi seducenti per raggiungerlo non bisogna farsi incantare). La pazzia politica potrà forse aiutare Trump a essere meno estremista. Ma fino a prova contraria l’età dell’oro evocata ieri da Trump è un’età all’interno della quale non vi è alcun mezzo positivo che possa giustificare il fine estremista della lotta senza quartiere contro ciò che resta della democrazia liberale e della trasformazione del 6 gennaio nella nuova ragion di stato americana.
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