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Toccherà a Trump negoziare la fase più dura della tregua con Hamas
C'è la cornice, ma mancano i colloqui più duri. Con Netanyahu il nuovo presidente fa il duro e lascia intendere che per il medio oriente ha un progetto più grande della guerra nella Striscia di Gaza: punta a sgretolare il regime iraniano
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha atteso il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca forte del fatto che per il presidente repubblicano sarebbe stato più semplice fornire a Israele tutto il sostegno di cui aveva bisogno per sconfiggere i suoi nemici. Il presidente uscente, Joe Biden, ha fatto tutto il necessario: ha sostenuto Israele contro Hezbollah, contro l’Iran, contro gli houthi, contro Hamas, ma sempre con la spina nel fianco di un partito contrario, poco unito, recalcitrante. Biden ha lavorato all’accordo che ha permesso la liberazione dei primi tre ostaggi dalla prigionia di Hamas, per cui i terroristi sono stati l’ostacolo più grande, ma per Netanyahu non era semplice accettare un’intesa con il rischio di rimettere in libertà centinaia di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane e di vedere il suo governo sgretolarsi. C’è voluto che Trump mandasse il suo inviato speciale, imprenditore immobiliare e compagno di golf, Steve Witkoff, a dire con parole dure a Netanyahu che il presidente repubblicano non avrebbe accettato che Israele negoziasse ancora per la tregua perfetta.
Nessun “no”, seppure per migliorare l’accordo, era ammesso. Il premier ha accettato, il suo governo ha perso uno dei partiti estremisti ma è ancora in piedi e aspetta la prossima liberazione degli ostaggi. Il vero lavoro negoziale è ancora tutto da fare: Biden ha tracciato i contorni, ma tra due settimane si dovrà iniziare a negoziare la seconda fase dell’accordo e se i colloqui saranno infruttuosi, si ricomincerà a combattere. Witkoff sarà fondamentale. Non è stato scelto per la sua conoscenza del medio oriente, ma esclusivamente per le sue capacità di mediazione messe in pratica in ambito economico e non diplomatico. Quello che accadrà tra due settimane sarà nelle mani della nuova Amministrazione, ogni successo o fallimento dipende dagli uomini che Trump manderà sul campo e da quanto saranno in grado di convincere. Nessun accordo per Israele sarebbe stato perfetto, Hamas è sconfitta, ma non sradicata, esiste ancora dentro Gaza ed esiste fuori, rappresentata dalla leadership che si definisce politica ma che lavora per gli stessi scopi di quella militare e Israele per veder tornare i rapiti deve cedere su alcune condizioni. Se Netanyahu sopporta e sta al gioco di Trump e dei suoi è perché non ha alternative e spera di costruire una strategia di lungo termine che punta alla sconfitta della Repubblica islamica dell’Iran. In alcuni ambienti diplomatici europei si è insinuata la certezza che Tsahal colpirà i siti nucleari iraniani, perché il regime ha la Bomba, mancano soltanto alcuni dettagli per poterla costruire davvero. Da Biden, Israele aveva ricevuto il divieto di colpire i siti nucleari, ma da parte di Trump potrebbe avere il via libera. La prima Amministrazione del presidente appena insediato è stata molto dura con Teheran e difficilmente l’Amministrazione entrante vorrà essere ricordata come quella che non ha impedito il compimento del progetto nucleare iraniano. Teheran ha colto il segnale e da settimane non fa altro che mostrare immagini della sua contraerea al lavoro e di inaugurazioni di nuove basi navali sotterranee. Trump può fare una pressione economica tale da creare all’economia iraniana un buco da trenta miliardi di dollari e lavorare con i sauditi per spingere a cambiamenti significativi nella regione. Nel guardare un quadro più grande, Netanyahu ha chinato il capo di fronte alla durezza del nuovo presidente americano, anche per un accordo che non poteva non chiedere a Israele di pagare un prezzo alto per vedere tornare gli ostaggi.
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