La scatola nera di Tripoli
“Carcere e torture per 5 anni senza motivo”. Le accuse ad Almasri
Violenze, traffici di migranti verso gli Stati Uniti, bambini soldato usati in combattimento. "Era il depositario di troppi segreti". Nuove testimonianze esclusive contro il libico che l'Italia ha deciso di non arrestare
Osama al Njeim Almasri sa molte cose che riguardano anche l’Italia. Per questo molti tra Roma e Tripoli hanno tirato un sospiro di sollievo quando martedì sera è sceso dal Falcon che il nostro governo gli aveva messo a disposizione per rimpatriarlo in Libia all’aeroporto di Mitiga. Ad attenderlo c’erano decine di militari della sua milizia, la Rada, l’acronimo che sta per Forze speciali di deterrenza che controllano l’aeroporto e di cui Almasri è tra i leader e fondatori. Sceso dalla scaletta dell’aereo, aveva l’espressione di chi ce l’aveva fatta, mentre veniva portato in trionfo sulle spalle dei suoi uomini che intonavano cori vittoriosi. La sua è una figura di rilievo sin dalla fondazione della Rada, nel 2011, l’inizio della guerra civile. La milizia di ispirazione salafita è il principale braccio armato del premier Abdulhamid Dabaiba a Tripoli e risponde al ministero dell’Interno.
Ma a dimostrazione di come in Libia le milizie e le forze di polizia finiscano per sovrapporsi, Almasri è anche il capo della polizia penitenziaria libica che invece dipende dal ministero della Giustizia. Come tale, è il responsabile di alcuni tra i centri di detenzione libici accusati dalle Nazioni Unite e dalle ong per violenze e torture imposte ai carcerati. Fra queste strutture c’è quella di Mitiga, costruita in un edificio adiacente all’aeroporto di Tripoli. E proprio a Tripoli in molti hanno cominciato a preoccuparsi seriamente quando lunedì è arrivata la notizia dell’arresto di Almasri. È una sorta di vaso di Pandora, spiega al Foglio Khalil Elhassi, scrittore e giornalista libico. “È come una scatola nera riempita di tutti i segreti sulle torture imposte a libici e migranti rinchiusi nelle carceri del paese”. Di questi segreti non sarebbe stato a conoscenza solamente il governo Meloni, naturalmente, ma anche molti di quelli che l’hanno preceduto e che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con le autorità di Tripoli, dal 2015 in poi.
Nelle ore successive all’arresto, le autorità libiche hanno cominciato a fare pressioni sul governo italiano per ottenere il rimpatrio di Almasri. Per Abdel Moaz Nouri Bouaraqoub, direttore della struttura di Ain Zara, anch’essa gestita dalla Rada e considerata luogo di abusi e torture, “Almasri è noto per il suo rigore, la sua dedizione e la professionalità nell’adempimento dei compiti affidatigli per molti anni”. Fra i più attivi nel chiedere l’immediata scarcerazione e il rimpatrio del comandante libico c’era Abdul Raouf Kara, il capo della Rada. “Il rapporto tra Kara e Almasri è molto stretto – spiega Elhassi – perché Almasri supervisionava gli arresti e le torture di attivisti e appartenenti a minoranze religiose e tanti altri. Tutto questo avveniva sotto il comando di Kara. Almasri è il volto nascosto delle violenze più efferate commesse nelle prigioni della Rada e Kara temeva che potesse svelare il suo coinvolgimento”.
Di queste accuse era al corrente anche il dipartimento di stato americano, che nella sua scheda paese, riguardo alle violazioni dei diritti umani in Libia, spiega che in base alle “testimonianze di ex detenuti nel carcere di Mitiga, gli amministratori della Rada hanno sottoposto i detenuti a torture. Gli ex detenuti di Mitiga hanno riferito di aver subìto sospensioni dalle spalle per molte ore con conseguenti lussazioni; percosse durate fino a cinque ore; percosse con tubi di plastica; percosse ai piedi con uno strumento di tortura”.
Il Foglio ha raccolto altre testimonianze dirette degli abusi subiti nel carcere di Mitiga e che rimandano direttamente alla responsabilità di Al masri. È il caso di H. K., arrestato nel 2015 e detenuto senza alcun motivo noto per quattro anni a Mitiga. “Per tutto questo tempo – racconta H. K. in una denuncia formale sottoposta al termine della detenzione – contro di me non è stata avanzata alcuna accusa, né sono stato interrogato da un procuratore. Tutto questo è avvenuto su ordine di Osama al Njeim che era il comandante della prigione all’epoca”. Nella sua denuncia, si parla di “detenzione arbitraria e tortura fisica e psicologica”. Un altro caso è quello di M. H., che spiega come il fratello fosse morto in Tunisia in ospedale appena cinque giorni dopo essere stato rilasciato dal carcere della Rada. “Durante la sua detenzione che è durata tre mesi e 22 giorni, mio fratello – nonostante fosse invalido e costretto da 30 anni su una sedia a rotelle – ha patito abusi fisici e psicologici, negligenze mediche e malnutrizione”.
Tra le accuse più gravi rivolte ad Almasri e ai suoi uomini c’è quella di avere reclutato minori nelle forze della Rada. Alcune di queste denunce sono state raccolte dal National Human Rights Committee in Libya (Hrcl) e dal suo presidente, Ahmed Hamza. “A Tripoli lo scorso anno, il 15 agosto, dopo i combattimenti tra le forze della polizia giudiziaria della Rada e la Brigata 444, abbiamo rinvenuto tre cadaveri di bambini soldato reclutati dalle forze di Almasri”, spiega Hamza al Foglio. Il presidente di Hrcl spiega anche che Almasri è accusato di avere avuto un ruolo anche nel traffico di centinaia di migranti che in questi anni sono volati dall’India al Nicaragua passando per la Libia e da lì hanno raggiunto gli Stati Uniti a bordo di aerei della Ghadames Airlines. Il direttore della compagnia aerea libica, arrestato nel luglio 2023, “ha raccontato del coinvolgimento della Rada nei traffici di persone a Mitiga dove gli aerei facevano scalo”.
Secondo Wolfram Lacher, esperto di Libia del German Institute for International and Security Affairs di Berlino, l’arresto di Almasri ha messo l’Italia sotto pressione. “Poteva essere uno scandalo enorme perché si tratta del supervisore del carcere di Mitiga. Sarebbe stato un caso ancora più grave di quello di Bija” – il capo della milizia di Zawiya e comandante della Guardia costiera libica, accusato di traffico di droga ed esseri umani invitato in Sicilia nel 2017 dalle autorità italiane durante i negoziati per bloccare le partenze dei migranti. “L’operazione che ha portato all’arresto di Almasri avrebbe messo in grande pericolo l’intero piano di collaborazione tra il governo Meloni e quello Dabaiba su molte questioni, prima fra tutte quella dell’immigrazione”, dice Elhassi.
“Almasri è un criminale e confidavamo molto nel suo arresto in Italia, perché avrebbe significato la fine dell’impunità e l’inizio di una nuova pagina per la giustizia di questo paese”, dice Ahmed Hamza. “Ora però la sua liberazione non farà altro che favorire altre violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale a scapito di civili e innocenti in Libia”.