In minoranza
Come si fa opposizione a Trump? I democratici iniziano dagli appelli contro l'apatia
Non normalizzare l'estremismo del presidente, studiare, colpire (anche basso), recuperare l'energia, non rassegnarsi. Tre consigli, tra liberal e conservatori anti trumpiani
“I democratici devono capire che quando gli altri colpiscono basso, loro devono colpire ancora più in basso”, aveva detto a settembre Cecile Richards, amatissima ex presidente di Planned Parenthood morta a 67 anni il giorno dell’inaugurazione di Donald Trump. La frase l’ha riportata Tina Brown nella sua newsletter, celebrando la “warrior queen” pro choice, autrice di un libro dal titolo “Make trouble”. La domanda che si fanno tutti gli oppositori di Trump è: come si fa? Richards aveva usato l’espressione “when they go low, go lower”, che è il contrario di quel che disse Michelle Obama nel 2016, alla prima sfida elettorale (vinta) di Trump, e nel 2020, alla seconda sfida, persa: “When they go low, we go high”. Anche l’ex first lady ha smesso di ripeterla, questa frase, ma questo non vuol dire che si sia trovata una strategia per fare opposizione a Trump – non presentarsi all’inaugurazione, come ha fatto Michelle, non sembra né un colpo alto né uno basso: soltanto inutile.
Alexandria Ocasio-Cortez, deputata star dei democratici che non ha partecipato all’inaugurazione perché “non celebro gli stupratori”, ripete che non bisogna normalizzare l’anomalia antidemocratica di Trump e propone di non essere allarmisti in modo sterile (benvenuta), di continuare a informarsi per non farsi risucchiare dalle bolle di propaganda, di restare uniti e cercare di ascoltare gli altri, anche chi non la pensa come noi (ribenvenuta), di recuperare energia e voglia di lottare, e di fare rumore. L’appello contro l’apatia è lo stesso formulato da Rahm Emanuel, in un’intervista al Financial Times: l’ambasciatore americano a Tokyo, ex sindaco di Chicago, ex chief of staff di Barack Obama, famoso per essere brusco, impaziente e implacabile, parla con il giornalista del quotidiano americano mentre viaggiano sul Nozomi per la sessantesima volta da quando è arrivato, un record di cui va fierissimo (e che ha fatto impazzire chi si deve occupare della sua sicurezza). Dice: “Una cosa che abbiamo imparato negli ultimi vent’anni è che l’imprevedibile è più prevedibile del prevedibile, ma è anche certo che serve energia, non si può essere apatici contro questo signore”. Ma di nuovo: come si fa?
Bill Kristol, saggista neoconservatore che fondò il Weekly Standard e nel 2018 Bulwark, che è la versione online e moderna, quindi antitrumpiana, del magazine, ha cercato di dare una risposta. Parte dall’assunto banale ma brutale che il Partito democratico non ha potere politico, non può fare molto contro gli ordini esecutivi, contro le nomine, contro le grazie “sconvolgenti”: “Per questa ragione, almeno per ora, le persone non si interesseranno granché alle proposte costruttive dei democratici, alle loro politiche per ricalibrare quel che fa l’Amministrazione, ai loro piani e alle loro speranze. Non potranno governare per altri quattro anni e anche se dovessero riconquistare la Camera nel 2026, l’unica cosa che potranno fare è controllare Trump, che è una buonissima cosa, ma non è governare”. Molti leader democratici stanno già parlando del 2026, quando ci saranno le elezioni di metà mandato: preparano candidature e programmi, si interrogano su come posizionarsi (il grande dilemma su spostarsi ancora più a sinistra o andare al centro non è risolto). Ma di nuovo: che cosa si fa intanto? Kristol suggerisce di studiare e di “dire la verità”. Studiare “Lincoln degli anni Cinquanta dell’Ottocento, non dei Sessanta; Churchill degli anni Trenta del Novecento, non dei Quaranta; Václav Havel degli anni Ottanta, non dei Novanta”, perché è così che si trovano dei metodi per fare opposizione. E poi “dire la verità, dirla chiara, dirla forte, dirla spesso, su Pete Hegseth e Kash Patel”, nominati al Pentagono e all’Fbi, “sulle politiche per l’immigrazione di Trump, crudeli e deleterie; sui plutocrati di Trump, la corruzione e l’avidità; sull’assalto di Trump allo stato di diritto”. In fondo, dice Kristol, il Partito democratico ha vinto più del 48 per cento del voto popolare, ha il 49 per cento della Camera, il 47 per cento del Senato, il 46 per cento dei governatori, di cui sei nei dieci stati più grandi: “Non è un partito smarrito, non è nemmeno un partito nel deserto, è solo un partito all’opposizione”. Per ripartire dovrà costruire un nuovo inizio, “aria fresca”, intanto serve non rassegnarsi.
Il presidente-venditore