Intervista esclusiva
A tu per tu con Zelensky: Trump, la pace e le garanzie che servono all'Ucraina
Il presidente ucraino ci parla delle sue speranze sulla presidenza americana, ci spiega cosa vuol dire “non commettere più gli errori del passato” e fa l’elenco di tutto ciò che è necessario per un accordo. “Il canale di Meloni con Trump sarà utile all’Europa, spero che potrà esserlo anche all’Ucraina. Abbiamo bisogno della Nato”
Kyiv, dalla nostra inviata. “Leggere l’ultimo post di Donald Trump rivolto a Vladimir Putin? E’ stato come sentire il rumore di uno sparo”, dice il presidente ucraino Volodymyr Zelensky mentre si siede sul lato corto di un grande tavolo bianco per le riunioni. Siamo dentro un salone moderno con luci al led e file di schermi su tutte le pareti per monitorare i movimenti al fronte in diretta e avere conversazioni sicure con i generali sul campo. E’ la situation room di Kyiv. Zelensky ha la faccia stremata e il tono energico di sempre, il giorno prima del nostro incontro il nuovo presidente americano, via social, aveva detto a Putin che, se non avesse messo fine a questa “ridicola guerra!”, allora “LE COSE SAREBBERO ANDATE MOLTO PEGGIO”. Zelensky ha apprezzato: “Quando Trump dice ‘peggio’, intende peggio per la Russia. E’ importante che una persona forte faccia arrivare questo messaggio a Putin. Il presidente americano dice che vuole davvero mettere fine alla guerra”. Per il momento però nessuno conosce il suo piano di pace, chiediamo a Zelensky se crede che almeno lui – Trump – lo conosca. “Penso che non abbia chiari i dettagli. Quasi tutto dipende da cosa possiamo ottenere noi ucraini per proteggerci, perché non commetteremo di nuovo gli errori del passato, e da Putin, se vuole fermare l’invasione: io penso che non lo voglia”.
Gli errori del passato a cui fa riferimento il presidente ucraino sono due e di uno Zelensky è direttamente responsabile. Il primo è il Memorandum di Budapest del 1994, quando l’Ucraina accettò di cedere le sue armi nucleari, che avrebbero funzionato come deterrente contro un’invasione, in cambio della garanzia da parte degli Stati Uniti, della Russia e del Regno Unito che l’avrebbero protetta, che avrebbero garantito l’integrità del suo territorio, ma che poi non lo hanno fatto. “Abbiamo scoperto a nostre spese quanto sia pericoloso scambiare qualcosa di reale – le armi atomiche – con parole scritte sull’acqua. Avremmo dovuto scambiare le nostre armi per garanzie di sicurezza concrete, che a quel tempo significavano una cosa sola, la Nato, e che oggi significano una cosa sola, la Nato”. Zelensky ricorda che i paesi dell’Alleanza atlantica non subiscono invasioni mentre l’Ucraina, da quando ha accettato garanzie di sicurezza che non lo erano davvero, ne ha subite due. “La nostra storia recente è il motivo per cui non siamo più disposti a cedere qualcosa che ci appartiene senza avere in cambio un’assicurazione seria di pace. In cambio della cessione delle nostre armi nucleari, abbiamo avuto la guerra”. Zelensky ha spiegato a Trump come sono andati gli accordi di Budapest negli anni Novanta e poi cosa è successo dopo i colloqui di pace con la Russia del formato Normandia negli anni Duemila e ha detto al presidente americano: non farti fregare anche tu. E’ convinto che a Trump non piaccia essere preso in giro e che non gli piaccia perdere, il presidente ucraino ha scelto come strategia politica fare leva su questo aspetto del carattere dell’americano.
Nel 2019, l’anno in cui Zelensky è stato eletto, i colloqui di pace secondo il formato Normandia erano congelati, ma il neopresidente dedicò il suo primo, accorato, discorso alla nazione all’importanza di trovare un patto con la Russia e fermare il fuoco in Donbas, così i colloqui ripresero. Una volta seduto tra Angela Merkel e Vladimir Putin però, Zelensky ebbe un brutto presentimento: alla cancelliera tedesca e al presidente russo interessava più trovare una soluzione affinché il gas di Putin continuasse a scorrere attraverso l’Ucraina per approdare nell’Unione europea che mettere in sicurezza un accordo per lo scambio dei prigionieri e per il cessate il fuoco in Donbas. Quel cessate il fuoco, in effetti, durerà poco. Dal punto di vista degli ucraini, il patto del 2019, per cui Zelensky aveva speso il suo capitale politico nonostante la metà del suo paese fosse contraria a un accordo col nemico, si è risolto con la Russia che vendeva il suo gas, l’Europa che otteneva il suo gas e l’Ucraina che otteneva la guerra. E questo fu il secondo errore.
Se oggi il conflitto venisse congelato (già questo non è un traguardo semplice) gli ucraini si troverebbero a vivere di nuovo accanto al pericolo, accanto a un vulcano attivo, “con un serial killer in giardino”, e affinché una tregua lo sia davvero chiedono garanzie più forti di quelle che hanno già sperimentato in passato e che non hanno funzionato. Zelensky ripete che queste garanzie hanno un unico nome possibile: la Nato. L’Alleanza atlantica però non è soltanto un insieme di articoli, è un accordo militare che prevede basi americane sul territorio dei paesi membri, fornite di armi potenti fabbricate negli Stati Uniti, piene di soldati americani. Non sembra probabile che l’Amministrazione Trump spenda molti dollari per costruire le nuove basi, spedire le armi e inviare truppe americane in Ucraina, nemmeno se ci fosse una tregua. Abbiamo chiesto a Zelensky se esista una garanzia diversa dalla Nato di cui si fiderebbe, per esempio un patto di difesa comune con il Regno Unito, la Polonia e i paesi baltici. Secondo lui, “se non ci sono dentro anche gli americani”, gli europei non si prenderanno in nessun caso la responsabilità di fermare i russi. Una forza di peacekeeping internazionale a cui partecipavano gli europei, Unifil, pochi mesi fa ha fallito la sua missione di evitare una nuova guerra al confine tra Israele e Libano. Poi abbiamo fatto a Zelensky l’esempio di Israele, il paese con le difese aeree migliori del mondo che il primo ottobre, quando la Repubblica islamica dell’Iran gli ha lanciato contro quasi duecento missili balistici, è stato difeso dagli americani, dai francesi, dai giordani, dai britannici, pur non facendo parte della Nato.
Gli abbiamo chiesto, anche, se per questo motivo invidi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Zelensky ha risposto con un mezzo sorriso un po’ amaro. A questo punto della conversazione stiamo immaginando l’Ucraina durante un cessate il fuoco e stiamo discutendo di come proteggere il grande pezzo di paese ancora libero da un eventuale nuovo attacco. Zelensky insiste che per fermare il fuoco bisogna parallelamente costruire le condizioni pratiche per scongiurare una nuova invasione tre mesi o tre anni dopo: “Con il presidente Trump ho parlato nel dettaglio delle riunioni del 2019, di quando Putin dà la sua parola e poi non la mantiene. Penso che questa sia la cosa più importante da tenere a mente ora che discutiamo di possibili negoziati. Se l’altra parte non mantiene la parola e spesso mente, allora hai bisogno di condizioni eccezionali per creare un’atmosfera tale attorno a Vladimir Putin che – oltre agli accordi sulla carta – gli faccia capire che è impossibile nella pratica infrangere di nuovo le promesse e tornare a fare la guerra all’Ucraina e agli ucraini”. Il presidente ha parlato con Trump anche del Memorandum di Budapest e gli ha detto: “Se potessi tornare indietro al 1994, scambierei le mie armi nucleari soltanto con qualcosa che possa davvero fermare qualsiasi aggressore, indipendentemente dal suo peso politico, dalle dimensioni del suo territorio, dai numeri del suo esercito. Trump mi ha risposto: ‘Sì, capisco cosa stai dicendo’”. Non si può commettere lo stesso errore tre volte.
Volodymyr Zelensky ha notato che Giorgia Meloni è stata l’unica leader europea invitata al giuramento del presidente degli Stati Uniti: “E’ una buona notizia per l’Italia, forse con questo canale di dialogo privilegiato lei potrà essere utile all’Europa, io spero che potrà esserlo anche all’Ucraina. Oltre ai ruoli che ricopriamo, siamo tutti persone – Donald Trump, Giorgia Meloni e io – e i rapporti umani che siamo capaci di instaurare contano. Io ho un bellissimo rapporto con lei, la considero una persona leale e un’amica. So che Donald Trump ha un buon rapporto e si fida di lei. Spero soltanto che la relazione di Meloni con il presidente americano non sia ancora migliore di quella che ha con me!”, dice, questa volta con un sorriso da attore.
Abbiamo chiesto al presidente ucraino se tre anni di bombardamenti e tentativi di assassinarlo abbiano ucciso il vecchio Zelensky, il comico. Ha risposto ridendo che l’aggettivo “vecchio” accostato al suo nome non lo aveva ancora mai sentito pronunciare, si è incupito quando ha cominciato a raccontare che gestire una guerra si mangia il tempo per i sentimenti – che i problemi sono così tanti, la fretta è così tanta, che si diventa pragmatici, soltanto risolutivi e poco emotivi, che la testa prende il sopravvento sul cuore. A dire il vero nel corso di un’ora di intervista almeno due volte le risposte fiume del presidente ucraino hanno rallentato e gli è venuta un’espressione commossa. Quando ha parlato di suo nonno, Semyon Ivanovich Zelensky, fante ebreo dell’Armata rossa durante la Seconda guerra mondiale con trenta medaglie appese al petto, che in Ucraina ha combattuto i nazisti veri e non quelli che vivono negli ossimori della propaganda putinista (che vuole denazificare Zelensky), ed è stato l’unico della propria famiglia a sopravvivere all’Olocausto, che ha ucciso un milione di ebrei ucraini tra cui i suoi genitori e i suoi tre fratelli. La seconda volta è stata quando abbiamo parlato dei fanti di oggi, dei maschi giovani e non solo che in questo momento sono settecento chilometri a est da qui, nelle trincee a zero gradi sotto i colpi dell’artiglieria russa, che in questi tre anni di grande invasione hanno sostenuto da soli il settanta per cento di tutte le perdite, di tutte le morti in combattimento di ucraini. Quelli che più della nuova Amministrazione americana di destra vogliono che questa guerra finisca presto – a patto che possano dire, questa volta, che sia finita davvero.