Il racconto
In Georgia la resistenza femminile ha sconfitto il dittatore
La protesta si basa sul coraggio, sull'intelligenza e sulla determinazione delle donne che rifiutano di essere vittime, deboli e di rispondere con la sopportazione agli insulti e alla violenza
A volte mi chiedo: se fossero stati solo uomini a opporsi agli uomini violenti del regime, quanto sarebbe durata la resistenza? Se in questa lotta ci fossero stati solo uomini – senza donne – quanti mesi, quanti giorni, quante ore avremmo resistito? La domanda è retorica, perché sia l’esperienza sia la realtà parlano chiaro: senza le donne, questa lotta non avrebbe mai avuto successo, e neanche gli uomini avrebbero potuto farcela senza di loro. Sono le donne, con la loro pazienza infinita, la loro forza e la loro inflessibilità verso l’ingiustizia, a dominare questa battaglia. Riusciamo a resistere perché le donne combattono.
La protesta si regge in gran parte sul loro coraggio, sulla loro intelligenza e sulla loro determinazione. In tribunale, una giornalista donna teneva in mano un libro scritto da un’altra donna, una filippina in lotta contro la dittatura, tradotto in georgiano da una politica donna: “Come sconfiggere un dittatore”. Quel libro è diventato un simbolo ispiratore per molte persone. La giornalista, silenziosa ma ferma dietro le sbarre, ci ha inviato un messaggio incoraggiante con il titolo del libro: Ecco come bisogna combattere un dittatore! – con determinazione, coerenza, instancabilità e… con un libro! Vale a dire, tenendo conto dell’esperienza degli altri, perché i nuovi dittatori si somigliano nei metodi e nelle ossessioni.
Poiché la copertina e il titolo del libro sono diventati una metafora visiva della resistenza in questi giorni, oso rielaborare l’immagine simbolica della donna georgiana, anche a costo di sfiorare il patetico: la Madre dei Kartli che si erge sulla collina di Sololaki con la coppa di vino e la spada per me oggi è un simbolo etnografico che richiama un’immagine sovietica generalizzata del ruolo del georgiano, che deve essere intrattenitore, spesso accompagnato da un atteggiamento performativo e da una coppa di vino… Soprattutto sotto il dominio russo, quando ai georgiani era concesso di brandire solo spade di scena, o, se vere, solo su ordine del russo e nei suoi conflitti. Oggi, però, la donna georgiana per me è un’eroina reale: è una giornalista, in lotta contro l’oppressore. Non tiene in mano una coppa o una spada, ma un libro. Un libro che supera mille volte, per conoscenza, moralità e coraggio, le nullità scatenate contro di lei. Oggi ha ragione, e la storia le darà ragione per l’eternità. I nipoti racconteranno la sua storia: come l’hanno insultata per amore della Georgia e come lei è rimasta ferma e dignitosa! E di più: come non si è piegata di fronte alla dittatura!
La donna combattente e determinata, nel discorso della letteratura georgiana, è stata sempre rappresentata come una martire, costretta a pagare il prezzo della difesa dei suoi principi con la vita. Così è Shushanik, che si erge a origine della letteratura georgiana: non tradisce i suoi principi, ma perde la vita. Tuttavia, questo modello, nonostante la violenza e le tragedie subite dalle donne, oggi davanti ai nostri occhi – praticamente ogni giorno – perde sempre più la sua rilevanza: la donna combatte, vince e guida gli altri verso la vittoria. La donna rifiuta di essere una vittima, di essere debole, di rispondere con la sopportazione agli insulti e alla violenza. Se la tradizione le ha insegnato a sopportare l’umiliazione, allora anche l’oppressore deve sapere che questa tradizione di servile sottomissione non esiste più e che riceverà una risposta dalla donna per la sua violenza e i suoi soprusi… Una risposta come giudizio storico, uno schiaffo della storia contro ogni falsa legge che protegge il malfattore e lascia il patriota in prigione.
Questo schiaffo è la risposta di tutte quelle donne che sono state messe a tacere, ferite e uccise dagli oppressori, non solo per anni, ma per secoli. Ed è anche la risposta di questi mesi, durante i quali, nei “minivan delle torture” e nei “corridoi della repressione”, picchiavano i figli, i mariti, i padri di queste donne, e le stesse giovani donne! Questo schiaffo, leggero ma potente, è la spada che tiene in mano la statua pietrificata della Madre dei Kartli, una spada che finora aveva solo una funzione decorativa – perché si pensava che fosse sempre stata lì inutilmente, buona solo per poesie e brindisi. Ma ora i tempi sono cambiati: la donna risponde, combatte e vince contro il dittatore!