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il veto ungherese

Orbán minaccia di non rinnovare le sanzioni alla Russia

David Carretta

L'Ungheria vuole che Kyiv riapra i rubinetti del gas russo. Altrimenti ha un veto da 200 miliardi per Putin, ma gli europei sperano che sia Trump a toglierli da guai (almeno per i prossimi sei mesi)

Bruxelles. La riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea di lunedì vale 200 miliardi di euro, che Viktor Orbán potrebbe far scongelare a favore di Vladimir Putin semplicemente con un “no”. Il premier ungherese da dicembre minaccia di mettere il veto al rinnovo delle sanzioni che l’Ue ha adottato dall’inizio della guerra di aggressione contro l’Ucraina. 200 miliardi di euro sono l’ammontare degli attivi della Banca centrale russa congelati nell’Ue dopo l’invasione del 24 febbraio 2022: è la sanzione immaginata da Mario Draghi, insieme all’allora segretaria al Tesoro, Janet Yellen

E’ la sanzione che ha colto di sorpresa Putin e che ha fatto più male a un’economia che oggi appare sull’orlo del collasso.  I proventi straordinari generati dai 200 miliardi servono anche a rimborsare la parte europea del prestito da 50 miliardi di dollari fornito all’Ucraina dai membri del G7 per finanziare il bilancio corrente e gli acquisti di armi nel 2025. Lunedì il ministro degli Esteri di Orbán, Péter Szijjártó, dirà se l’Ungheria darà il suo assenso per rinnovare le sanzioni dell’Ue, oppure se si opporrà. L’aspettativa è un via libera, forse in cambio dell’impegno a versare nuovi fondi a Budapest. Ma con Orbán non si può escludere nulla. Paradossalmente è il nuovo presidente americano, Donald Trump, che potrebbe salvare gli europei da uno scenario che avrebbe un profondo impatto sull’andamento della guerra.

Dopo l’elezione di Trump, all’ultimo Consiglio europeo di dicembre, Orbán aveva sorpreso gli altri leader annunciando di voler aspettare fino all’inaugurazione prima di dare il via libera al rinnovo. Le sanzioni scadono il 31 gennaio e vanno prorogate ogni sei mesi all’unanimità. La scorsa settimana Orbán ha rilanciato la minaccia, usando un linguaggio sufficientemente ambiguo da tenersi aperta ogni possibilità. Ha spiegato che “è giunto il momento di buttare le sanzioni dalla finestra e di creare una relazione senza sanzioni con i russi”, salvo aggiungere che  l’obiettivo “è ancora lontano”. Ieri Orbán ha messo una condizione per dare il via libera: l’Ucraina deve riaprire il rubinetto del gas russo verso l’Ungheria e la Slovacchia. Dall’inizio dell’anno il flusso si è interrotto perché Kyiv non ha rinnovato l’accordo di transito con Gazprom per privare il Cremlino di diversi miliardi di euro di entrate. Nello stesso momento in cui Orbán parlava alla radio, il suo ambasciatore a Bruxelles comunicava all’Ue la riserva sul rinnovo delle sanzioni.

La condizione posta da Orbán è inaccettabile per il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e gran parte dei partner europei. Gli altri stati membri dell’Ue sperano che basti offrire all’Ungheria una compensazione finanziaria. Ieri Orbán ha detto che le sanzioni sono costate all’Ungheria 19 miliardi di euro in tre anni. Il premier ungherese ha in mano un’arma potente. In caso di veto ungherese sul rinnovo delle sanzioni “non c’è piano B”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. Il primo febbraio a mezzanotte la Russia potrebbe rimpatriare i 200 miliardi della Banca centrale attualmente bloccati in Belgio. Sarebbe un’enorme boccata d’ossigeno per un’economia esangue. L’Ue perderebbe all’improvviso le risorse che servono a ripagare il prestito concesso all’Ucraina e si dovrebbe far carico direttamente di rimborsare interessi e capitali. Mosca potrebbe anche ricominciare a importare legalmente dall’Ue armi, tecnologia e beni dual use (civile e militare), nonché esportare le merci sotto embargo

“La minaccia è presa seriamente. Ma non è la prima volta”, dice il diplomatico. Gli europei sperano che sia Trump a toglierli da guai, almeno per i prossimi sei mesi. L’annuncio del presidente americano di voler rafforzare le sanzioni contro la Russia, se Putin non si siederà al tavolo dei negoziati, dovrebbe dissuadere Orbán dal sabotare la sua strategia della “pace attraverso la forza”. Ma il problema rischia di riproporsi. L’Alto rappresentante, Kaja Kallas, lunedì intende insistere per confiscare i 200 miliardi e metterli definitivamente a disposizione dell’Ucraina. Ma la Germania e altri paesi sono contrari.