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Tutti gli altri casi Almasri che spaventano Dabaiba e Haftar (e l'Italia)
Secondo quanto risulta al Foglio, sono ben 86 gli altri mandati di arresto coperti dal segreto e appena spiccati dalla Corte penale internazionale nei confronti di altrettante personalità di primo piano del panorama libico
L’imbarazzo diplomatico causato dall’arresto e dalla rocambolesca liberazione del leader libico Almasri da parte delle autorità italiane rischia di non restare un caso isolato. Secondo quanto risulta al Foglio, sono ben 86 gli altri mandati di arresto coperti dal segreto e appena spiccati dalla Corte penale internazionale nei confronti di altrettante personalità di primo piano del panorama libico. I nomi di quattro di questi – a cui questo giornale è riuscito a risalire – sono molto vicini ai due leader della Libia, rispettivamente il premier di Tripoli Abdulhamid Dabaiba e il generale della Cirenaica Khalifa Haftar.
Così come è successo nel caso di Almasri, la mole di informazioni che questi personaggi potrebbero rivelare in caso di arresto spaventa sia la Libia sia quei paesi stranieri, Italia inclusa, che in un modo o nell’altro hanno giocato, e giocano tutt’ora, un ruolo nella politica libica.
Non si conoscono i reati contestati dai giudici dell’Aia ai ricercati ma i quattro di cui il Foglio è venuto a conoscenza appartengono a milizie che in questi anni sono state destinatarie di accuse molto pesanti formulate sia da organizzazioni internazionali sia da organizzazioni non governative. Fra queste si parla di violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni forzate. Si tratta di capi di milizie che hanno finito per assumere responsabilità di rilievo all’interno di organi di sicurezza governativi collegati sia al governo di Dabaiba sia a quello di Haftar. Alcuni di questi ricoprono compiti di polizia sulla libertà religiosa e dei costumi nel paese. Così come Almasri è fra i comandanti di una milizia salafita, la Rada, allo stesso modo alcuni dei nuovi destinatari dei mandati di arresto della Corte penale internazionale appartengono a formazioni islamiste. Negli ultimi anni, alcune delle loro milizie si sono rese protagoniste anche di azioni di repressione contro individui sospettati di omosessualità o di proselitismo da parte di fedeli cristiani.
Jalel Harchaoui, esperto di Libia del Royal United Services Intitute di Londra, ritiene che il caso Almasri abbia creato un precedente che spaventa molto i capi delle milizie: “Molti di loro hanno paura perché non sanno se sono o meno sulla lista dei mandati di arresto della Corte penale internazionale – dice al Foglio – Ma allo stesso tempo, per alcuni non è semplice evitare di viaggiare all’estero, in Europa come in Tunisia o in Turchia, in paesi dove hanno famigliari o investimenti”. Nel caso di Almasri, l’Interpol ha adottato un metodo nuovo, più confidenziale nella gestione delle informazioni a disposizione. Lo scopo, secondo Harchaoui, è stato quello di evitare fughe di notizie che avrebbero potuto mettere in allerta i ricercati. Con Almasri, questa riservatezza ha funzionato – almeno fino al momento dell’arresto – e tanto basta a preoccupare i libici, da est a ovest.
“Nelle prime ore successive all’arresto del capo della polizia penitenziaria libica, le autorità di Tripoli avevano minacciato di arrestare un cittadino italiano come ritorsione”, rivela al Foglio una fonte diplomatica. Il pronto rilascio di Almasri ha scongiurato questo rischio, ma la situazione resta comunque complicata. “Difficile credere che il caso Almasri non abbia ripercussioni di qui in avanti – continua il funzionario diplomatico - Senza dubbio le autorità libiche risponderanno in qualche modo all’arresto”. Sotto l’attenzione del governo italiano ci sono l’operatività del gasdotto Greenstream operato da Eni e che unisce la Libia alla Sicilia, ma anche il futuro della Miasit (la Missione militare bilaterale di assistenza e supporto), e la concessione dei visti agli imprenditori italiani, che proprio nell’ultimo anno avevano ricominciato a rimettere piede in Libia con una certa continuità. In attesa dell’informativa che il governo dovrà rendere al Parlamento nel corso di questa settimana, una cosa è certa: gli strascichi del caso Almasri potrebbero lasciare il segno nelle relazioni fra l’Italia e la Libia.