In Georgia, Slovacchia e Serbia i ribelli democratici protestano per la libertà, i diritti, l'Europa (e Kyiv)

Paola Peduzzi

Alla porta est dell'Unione europea ci sono manifestazioni grandi, persistenti e contagiose per restaurare lo stato di diritto e cacciare i loro leader, con Mosca che incombe

La Georgia protesta da 61 giorni, tutte le sere, contro il governo filorusso del partito Sogno georgiano, chiede di rilasciare i manifestanti arrestati (e picchiati) e nuove elezioni. La Serbia protesta da 87 giorni, con piccoli assembramenti durante la settimana e grandi manifestazioni durante il weekend, contro il governo “corrotto e in balìa di incompetenza e ignoranza” di Miloš Vucevic, molto vicino (oltre che leader dello stesso partito) al presidente Aleksandar Vucic. La Slovacchia ha organizzato una grande manifestazione venerdì, la più corposa dalle ultime proteste che risalgono al 2018 – dopo l’uccisione del giornalista investigativo Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová  – e che portarono alle dimissioni del premier Robert Fico, che ha poi rivinto le elezioni nel 2023, è di nuovo al potere e sta spostando il suo paese verso Mosca.

  

Questi ribelli democratici chiedono più Europa e meno Russia, il rispetto dello stato di diritto, elezioni regolari, l’aiuto dell’occidente: non vogliono finire come la Bielorussia. I bielorussi iniziarono la loro protesta nel 2020 contro il regime di Aljaksandr Lukashenka, che è al potere da 31 anni, che aveva dichiarato di aver vinto le elezioni, negando i brogli documentati. La protesta – ribattezzata la Rivoluzione delle pantofole o contro gli scarafaggi, da una famosa filastrocca per bambini sullo “scarafaggio mostro” – fu grande e persistente, ma complice la cautela europea e la brutalità di Lukashenka fu sedata da uccisioni, arresti, torture e detenzioni, oltre che dalla retorica del regime contro “gli agenti stranieri” e il “complotto occidentale” contro Minsk. Moltissimi dissidenti o sono stati costretti all’esilio o sono stati condannati ad anni di carcere. Domenica ci sono state le elezioni farsa in Bielorussia senza candidati dell’opposizione dall’esito tanto scontato che Lukashenka ha tenuto una conferenza stampa di quattro ore e mezza mentre si stava ancora votando. Steve Rosenberg, imprescindibile giornalista della Bbc di base a Mosca, gli ha fatto un paio di domande. La prima: “Come può definire democratiche queste elezioni se tutti i rivali sono in prigione o in esilio?”. Risposta di Lukashenka: “Alcuni sono incarcerati altri sono in esilio, ma voi siete qui, ognuno ha il diritto di prendere le proprie decisioni qui, siamo una democrazia”. Rosenberg riprende la parola: “Lei ha recentemente detto che i cittadini della Bielorussia dovrebbero avere il permesso di dire quello che pensano e non di essere costretti a tenere la bocca chiusa, quindi perché non lascia uscire di prigione i suoi oppositori?”. Risposta di Lukashenka: “La prigione è per le persone che hanno aperto troppo la loro bocca e hanno violato la legge. E’ una cosa naturale, voi forse non avete le prigioni nel Regno Unito o in America?”.

  

In Georgia, in Serbia e in Slovacchia i cittadini esausti della censura, del filoputinismo, del rosicchiamento continuo delle loro libertà stanno aprendo la bocca più  che possono, la spalancano, gridando all’unisono: o ora o mai più. Anche se le ragioni contingenti di queste proteste sono diverse, c’è una consapevolezza comune del fatto che se non si riesce a dare uno scossone oggi, se non ci si libera oggi di questi governi illiberali che spezzano i legami con l’occidente, per molto tempo non ci sarà più un’altra occasione. La Georgia ha votato il 26 ottobre e ancora questa consapevolezza non ce l’aveva chiara: Sogno georgiano ha organizzato dei brogli, ma aveva anche illuso i georgiani di essere garante del processo di avvicinamento e adesione all’Unione europea. Quando questo percorso – che è tanto importante da essere presente nella Costituzione della Georgia – è stato formalmente interrotto dallo stesso partito che se n’era fatto truffaldinamente garante, l’inganno è diventato chiaro e con esso l’urgenza di liberarsi di tutto, dell’inganno e del governo. I georgiani sono tenaci e industriosi, trovano il modo di resistere pacificamente alle botte e agli arresti trasformando le manifestazioni in una festa della democrazia, in cui si mangia, si balla, si fa teatro, mentre anche sulle banconote scrivono i messaggi della rivoluzione, “libertà ai prigionieri del regime” e “dateci nuove elezioni”. Domenica i direttori di due testate giornalistiche indipendenti hanno manifestato davanti al Parlamento chiedendo la liberazione della loro fondatrice, Mzia Amaglobeli, arrestata l’11 gennaio, ancora in carcere dove rischia fino a sette anni: ieri pomeriggio davanti all’ufficio del ministro della Giustizia tutti avevano la foto di Mzia e protestavano per lei, simbolo dell’enorme ingiustizia che il governo sta imponendo al paese. Non c’è soltanto la lotta contro la Russia che incombe, ma Europa fa rima con democrazia, stato di diritto, giustizia.

  

Questo senso di ingiustizia è clamoroso a Belgrado e nelle altre città serbe che protestano da novembre: in queste manifestazioni Europa e Russia ci sono più come modello di riferimento, ma è la corruzione del governo – che comunque non ha mai voluto applicare nessuna sanzione alla Russia che ha invaso l’Ucraina – ad aver scatenato la mobilitazione. Il primo novembre era crollato il tetto di una stazione dei treni di Novi Sad, quattordici morti, e l’incidente è diventato il simbolo dell’incuria del governo, che come tutte queste leadership illiberali, pensa più all’arricchimento della classe dirigente che al benessere (o alla mera sopravvivenza) del proprio popolo. “La corruzione uccide” è lo slogan principale di questa protesta che è diventata, da venerdì, un gigantesco sciopero che vuole coinvolgere tutti i settori, ma che parte dagli studenti (ora raggiunti anche dagli insegnanti) che ai giornalisti dicono: non ci fermeremo, siamo a un punto di svolta, questo è l’inizio della fine dei leader che ci governano male da anni. Il primo ministro Miloš Vucevic ha minacciato studenti e insegnanti di espulsione dalle scuole e dalle università, mentre su tutti i media vicini al governo – che sono la maggior parte, la censura del dissenso è già cominciata da tempo – i manifestanti sono definiti “agenti stranieri”, proprio come avviene in Russia, in Georgia e anche in Slovacchia.

  

La grande protesta a Bratislava e in altre venti città slovacche è iniziata venerdì al grido di “siamo Europa” e “ne abbiamo abbastanza di Fico”: il 18 gennaio, il premier Fico aveva accusato il leader dell’opposizione, Michal Šimecka, di voler organizzare un golpe ai suoi danni. Il giorno precedente, Šimecka era stato a Kyiv per “riaprire la porta che Fico ha chiuso”, limitando gli aiuti all’Ucraina e ai 130 mila rifugiati ucraini in Slovacchia dopo che è scaduto, all’inizio dell’anno, l’accordo per far transitare sul territorio ucraino le risorse energetiche russe dirette all’Europa. Fico, che era stato a Mosca a incontrare Vladimir Putin il 22 dicembre, ha denunciato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, come un “sabotatore” del popolo slovacco, non ha accettato alcuna offerta da parte dell’Ucraina e, pur avendo detto che sarà a Kyiv nei prossimi giorni, ha denunciato il leader dell’opposizione che “va a baciare l’anello di Zelensky”, accusandolo di voler organizzare, con l’aiuto occidentale, un piano per destituirlo come fu, secondo lui, la protesta al Maidan di Kyiv nel 2013, che portò alla fuga dell’allora presidente filorusso Viktor Yanukovich. Anche all’indomani della visita di Fico a Mosca c’era stata una manifestazione di protesta a Bratislava, ma ora Šimecka ha messo in moto anche un processo parlamentare, chiedendo di votare la fiducia a Fico: la conta si deve tenere questa settimana, il partito del premier ha la maggioranza, ma con 79 seggi su 150 potrebbe andare incontro a brutte sorprese. Anche perché, da quando è tornato al potere e ancor più dopo che è stato vittima di un tentato omicidio, il 15 maggio 2023, in cui è stato gravemente ferito, Fico non soltanto è diventato più ostile all’Europa e più prono alla Russia, ma ha iniziato ad accusare tutti i suoi oppositori di essere “agenti stranieri” che tramano personalmente contro di lui (ha più volte alluso al fatto che l’opposizione ha armato l’uomo che ha tentato di ucciderlo). Marián Kulich, del movimento civico Mier Ukrajine, Pace per l’Ucraina, che ha organizzato le proteste, ha detto che l’obiettivo è “fare pressione affinché questo governo cambi la sua direzione verso Mosca e si concentri sui partner europei e la Nato.

  

Questi ribelli democratici chiedono l’attenzione e l’aiuto dell’Unione europea e dell’America, sanno di averne bisogno per ottenere elezioni regolari e la fine dei soprusi di governi che sono vicini a Mosca e che ne utilizzano i metodi (ieri finalmente l’Ue ha sospeso parte dell’accordo sui visti con la Georgia, dicendo che i funzionari di un governo che non rispetta i valori democratici e liberali non devono beneficiare di un accesso facilitato all’Ue). Intanto si mobilitano, scioperano, chiedono la liberazione dei manifestanti arrestati illegalmente, non si arrendono a diventare come la Bielorussia della repressione e dei voti farsa, semmai aspirano alla ribellione polacca, dove l’opposizione è riuscita, alle elezioni, a porre fine al governo di un partito illiberale: lì la Russia in sé non c’entra molto, ma la democrazia sì, è tutto.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi