Trump sospende tutti gli aiuti americani. E rischia che lo spazio vuoto lo riempia la Cina

Giulia Pompili

La decisione di congelare fondi e assistenza negli Stati Uniti e nel resto del mondo potrebbe essere un boomerang

Aggiornamento del 29 gennaio, 10 am: Il giudice federale Loren L. AliKhan ha bloccato stamattina, pochi minuti prima della sua entrata in vigore, l'ordine del presidente Trump di sospendere i programmi federali di sovvenzioni, prestiti e assistenza finanziaria. Nel frattempo, l'ufficio del personale della Casa Bianca ha inviato un'e-mail a tutti i dipendenti federali offrendo loro la possibilità di dimettersi, con retribuzione fino al 30 settembre, in un tentativo mai visto prima di ridurre la forza lavoro federale.

 

Tutto congelato, almeno fino al prossimo aprile. L’intero sistema di aiuti e fondi americani in America e nel resto del mondo è stato sospeso dal presidente americano Donald Trump nel giro di una settimana, prima con un executive order sulla “Rivalutazione e il riallineamento dell’aiuto degli Stati Uniti all’estero” e poi con un memo interno, che secondo i media americani si tradurrà oggi in un ordine esecutivo, per mettere in pausa  tutte le sovvenzioni e i prestiti erogati dal governo federale. Il Washington Post, che ha pubblicato la nota firmata da Matthew J. Vaeth, direttore ad interim dell’Ufficio per la gestione e il bilancio della Casa Bianca, scrive che l’obiettivo dell’Amministrazione è che ogni agenzia esegua una “analisi completa” dei fondi erogati, affinché siano in linea con la politica di Trump. La stessa politica usata per “l’industria degli aiuti esteri”: alle agenzie e ai dipartimenti sono stati dati 90 giorni per valutare “la coerenza” dei programmi d’aiuto con “la politica estera degli Stati Uniti”.

 

La sospensione decisa dall’Ufficio del bilancio della Casa Bianca di sovvenzioni e assistenza riguarda parecchi soldi: 3.000 miliardi di dollari per l’anno fiscale 2024, secondo quanto si legge nella nota, 6.700 miliardi di dollari secondo l’Ufficio del Bilancio del Congresso. Non è ancora chiaro quali programmi saranno interessati dalla misura, ma nel frattempo, a causa anche della caoticità del provvedimento, l’impatto rischia di essere significativo (anche se dovrebbe esserne esclusi i  beneficiari della sicurezza sociale o di Medicare e dell’assistenza diretta agli individui). 

 

In meno di dieci giorni Trump ha voluto mostrare la direzione della sua Amministrazione facendo sua, e con il suo metodo, la motosega di Milei: considera i programmi di grant e finanziamenti uno spreco di denaro pubblico soprattutto se c’entra l’inclusività e il famigerato Dei (Diversity, equity, and inclusion), e considera gli aiuti americani all’estero quasi sempre non in linea con il suo America first e con gli interessi nazionali. Il problema è anche ideologico: secondo Defex, media online specializzato nel settore degli aiuti internazionali, l’ufficio dell’Agenzia americana per lo Sviluppo internazionale (UsAid) per la Resilienza, l’ambiente e la sicurezza alimentare (è il bureau che gestisce Feed the Future, la più grande piattaforma  contro la fame e per la sicurezza alimentare a livello globale), lavora collegando la sicurezza alimentare al problema dei cambiamenti climatici, e Trump è notoriamente scettico riguardo a questo approccio. E già dalla campagna elettorale ha espresso come obiettivo dei suoi tagli anche il contributo americano alle Nazioni Unite – di cui la minaccia di uscita dall’Organizzazione mondiale della salute potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Attualmente il World Food Programme, agenzia dell’Onu, la più grande organizzazione di assistenza alimentare del mondo, è guidata da Cindy McCain, vedova del repubblicano John McCain, con cui Trump si è scontrato più volte, che fa già molta fatica a trovare i fondi per portare aiuti alimentari nel mondo.
In alcuni casi specifici, dicono al Foglio alcune fonti anonime del governo americano, sugli sprechi e l’irrazionalità dei fondi Trump potrebbe avere ragione, ma come spesso è avvenuto anche durante il suo primo mandato le sue soluzioni sono caotiche e per questo pericolose, perché potrebbero rivelarsi un boomerang. 

  

La decisione di sospendere, in attesa di revisione, l’intero sistema di fondi per gli aiuti all’estero, con un ordine emesso dal nuovo segretario di stato americano Marco Rubio che ha di fatto sospeso il lavoro dell’Usaid, ha già creato il panico tra i beneficiari in diverse aree del mondo, e rischia di generare un vuoto che potrebbe essere facilmente riempito da altri avversari. Alcuni diplomatici americani, secondo il Financial Times, avrebbero richiesto una deroga sugli aiuti diretti all’Ucraina, citando “preoccupazioni per la sicurezza nazionale”. Tra i beneficiari più colpiti, scrive Politico, ci sono le ong e le associazioni “che si occupano di rimuovere le mine terrestri dalle zone di conflitto, di fornire test e cure alle persone affette da Hiv in molti paesi africani, di finanziare indagini sulla disinformazione russa e sulle reti del crimine organizzato e di affrontare l’insicurezza alimentare in tutto il mondo”.  E quest’ultimo settore è quello in cui l’America, maggior donatore al mondo delle aree di crisi, è più insidiata da giganti come la Repubblica popolare cinese. Dalla Corea del nord alle aree di rifugiati e ribelli del Myanmar, molte delle ong che si occupano di rifornire aiuti alimentari potrebbero chiudere nel giro di poche settimane senza i fondi americani. Secondo una nota delle Nazioni Unite, il governo americano è il più grande donatore di aiuti al mondo, con circa 72 miliardi di dollari di assistenza fornita nel 2023 e più del 40 per cento di tutti gli aiuti umanitari contabilizzati dall’Onu nel 2024. Ogni volta che si crea un vuoto, c’è qualcun altro pronto a riempirlo. L’unica speranza per le agenzie dell’Onu che si occupano di sicurezza alimentare, facevano notare ieri gli osservatori più attenti, riguarda l’ambasciatrice designata al Palazzo di vetro, Elise Stefanik, che si è più volte espressa a favore del World Food Programme e dell’Unicef. Non è una garanzia, nell’èra Trump dove tutti sanno di dover essere flessibili per sopravvivere. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.