in svezia

Assassinato l'iracheno che bruciava il Corano. Il premier svedese: “Potenze straniere coinvolte”

Giulio Meotti

La sua provocazione aveva diviso l'opinione pubblica di diversi paesi. E, dopo la notizia, il tribunale distrettuale di Stoccolma ha annunciato la sospensione del processo a suo carico

Alla fine Salwan Momika, l’uomo che due anni fa bruciò una copia del Corano in pubblico in Svezia, ha incontrato il destino che molti temevano per lui. Rifugiato cristiano iracheno padre di due figli, Momika è stato ucciso nel suo appartamento a Södertälje durante una diretta social. Cinque persone sono state arrestate. “Era convinto che prima o poi sarebbe stato ucciso”, ha detto al New York Times l’avvocato di Momika, Anna Roth. Momika diede fuoco al Corano all’esterno di una moschea di Stoccolma e poi dell’ambasciata irachena. “Il mio problema oggi non sono i libri degli ebrei, dei cristiani o di altre persone” aveva detto. “Il mio problema è il libro che incoraggia la violenza: è il Corano”. Ma la legge svedese non proibisce alcun libro religioso, né punisce la profanazione dei testi sacri. L’agitprop dell’iracheno, autorizzata dalla giustizia e dalla polizia svedese, aveva  messo d’accordo tutti: il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, Papa Francesco che si disse  “disgustato”, Putin che baciò il Corano perorando la “pace multiculti russa”.

La Turchia aveva condannato le azioni di Momika e la Svezia si ritrovò ad aver bisogno del sostegno di Recep Tayyip Erdogan per entrare nella Nato, come è successo un anno fa. L’ambasciata svedese a Baghdad era stata incendiata. Nel maggio 2024, Momika aveva ricevuto un nuovo permesso di soggiorno dalla Svezia perché avrebbe rischiato la tortura in Iraq. 

I disordini seguiti al gesto di Momika avevano diviso in due l’opinione pubblica scandinava: da una parte una minoranza per cui la Costituzione non vieta roghi di libri e dovrebbe essere applicata e  chi vive in Svezia deve accettare di essere in una società democratica, anche a costo di sentirsi “offeso”, e non in una dove vige la sharia; dall’altra quelli che considerano i roghi del Corano “provocazioni inutili” da vietare per legge, perché “offendono i musulmani” e innescano la violenza. Stava vincendo il secondo approccio. La Danimarca, troppo scossa dall’affare delle vignette su Maometto, aveva persino reintrodotto la legge sulla blasfemia contro il vilipendio dei testi sacri: una storica marcia indietro per un reato abolito dal 2017. Momika era accusato presso il tribunale di Stoccolma di “incitamento all’odio razziale” e il verdetto avrebbe dovuto essere emesso proprio giovedì mattina. Poche le voci critiche a sua difesa. Il quotidiano Politiken, il più importante della Danimarca, si è opposto al possibile divieto dei roghi del libro sacro dell’islam: “Bruciare il Corano non dovrebbe essere vietato. Le immagini del Corano in fiamme sono ripugnanti. Ma non dobbiamo cambiare la nostra legislazione perché alcuni regimi dispotici – che non hanno il minimo rispetto nemmeno per i diritti umani più elementari – ci minacciano”. 

Il premier svedese, Ulf Kristersson, ha detto che “c’è il rischio di un legame con una potenza straniera” dietro l’omicidio di Momika. A settembre, le autorità svedesi hanno accusato l’Iran, primo indiziato tra queste potenze straniere per via dell’affaire Salman Rushdie, di essere responsabile di migliaia di messaggi inviati a persone in Svezia che chiedevano “vendetta per i roghi del libro sacro dell’islam”. Le Guardie rivoluzionarie  iraniane avrebbe inviato quindicimila messaggi in svedese per chiedere la testa di Momika. Come aveva scritto su Time Jacob Mchangama, direttore del Future of Free Speech Project alla Vanderbilt University e autore di “Free Speech: A History From Socrates to Social Media”, “quando un cittadino iraniano ha bruciato le bandiere danese e svedese, nonché la Bibbia e la Torah davanti all’ambasciata israeliana a Copenaghen, lodando Khomeini, a pochi danesi è interessato questo deliberato tentativo di provocare e nessuno ha minacciato di usare la violenza e il manifestante non è stato arrestato”. Inchinarsi alle intimidazioni di stati autoritari e religiosamente oppressivi costituisce un pericoloso precedente. “Basta confrontare le democrazie di Danimarca e Svezia con i regimi autoritari di Iran e Arabia Saudita per rendersi conto che, nonostante tutti i suoi difetti, la libertà di parola rende il mondo più tollerante, democratico e libero. La defezione da questo fondamentale principio liberale è un giorno oscuro per la lotta globale per la libertà di parola”.

Così si offre poi a quei regimi un’altra potenziale leva per minare ulteriormente i princìpi democratici in occidente. Il tribunale distrettuale di Stoccolma ha annunciato la sospensione del processo a carico di Momika: “Non è possibile condannare una persona deceduta”. Caso Corano chiuso.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.