continente africano
Chi sono i ribelli dell'M23 che avanzano nell'est del Congo. I minerali e il passato che ritorna
La storia del movimento che negli ultimi giorni sta lasciando nelle città congolesi morte e devastazione s'intreccia con quella del genocidio ruandese del 1994. Il Ruanda continua a sostenere la sua estraneità ai disordini, ma le testimonianze come "forza amica" e l'entrata di tonnellate di coltan nel paese dimostrano il contrario
Dopo aver catturato la città di Goma, nell’est della Repubblica democratica del Congo, i ribelli del “Movimento per il 23 marzo” (M23) ieri hanno iniziato a spostarsi verso sud, in direzione di Bukavu. Le conquiste seguono il percorso delle zone ricche di minerali e in particolare delle miniere di coltan, un minerale essenziale per la produzione di microchip per smartphone e dispositivi digitali che in oltre un anno, secondo le Nazioni Unite, avrebbe già fatto guadagnare al gruppo circa 800 mila dollari al mese. Le regioni conquistate nelle ultime settimane offrono al gruppo la possibilità non solo di acquisire maggiori entrate da queste risorse ma anche di raggiungere un risultato storico: qualsiasi avanzata verso sud consentirebbe all’M23 di controllare il territorio più vasto degli ultimi vent’anni.
La storia dei ribelli s’intreccia con la storia del genocidio ruandese del 1994, quando gli hutu massacrarono la minoranza tutsi. Dopo il genocidio i tutsi tornarono al potere e circa un milione di hutu fuggirono dal Ruanda verso il Congo, allora chiamato Zaire: il Ruanda afferma che molti responsabili del genocidio si sono rifugiati in Congo rappresentando una minaccia per i tutsi congolesi e per il Ruanda stesso. Così all’inizio degli anni Duemila si sono creati diversi gruppi per difendere i tutsi in Congo, combattere l’esercito congolese e conquistare le aree ricche di minerali nel paese: l’M23 è uno di questi, nato nel 2012, secondo Nazioni Unite e Stati Uniti è finanziato direttamente dal governo del Ruanda, nonostante Kigali continui a negare ogni coinvolgimento con il gruppo. La sigla fa riferimento all’accordo del 23 marzo 2009 che pose fine a una precedente rivolta guidata dai tutsi nell’est del Congo – secondo il gruppo che prende il nome dalla data il governo di congolese non avrebbe rispettato l’accordo di pace né integrato tutsi congolesi nell’esercito e nell’amministrazione. A capo del gruppo militare c’è Sultani Makenga, un ribelle congolese che negli anni Novanta ha combattuto in Ruanda, nel Duemila si è arruolato nell’esercito del Congo fino alla diserzione e alla sua entrata nell’M23 nel 2021: per le agenzie di intelligence congolesi e occidentali Makenga riceve istruzioni e sostegno diretto dall’esercito ruandese e dai servizi segreti ruandesi.
La seconda grande offensiva dell’M23 è iniziata nel 2021 – ha ripreso le armi dopo aver ricevuto una pesante sconfitta nel 2012 e aver perso la città di Goma, conquistata per la seconda volta – con un incremento delle conquiste negli ultimi mesi: il territorio sotto il suo controllo è aumentato del 30 per cento tra aprile e novembre dell’anno scorso, oggi controlla il doppio del territorio rispetto al 2012. Secondo gli esperti questi ribelli rappresentano una minaccia enorme per il Congo, più di qualsiasi altro gruppo armato esistente. L’avanzata verso la città mineraria di Goma ha causato oltre 400 mila sfollati e l’allarme delle agenzie internazionali è di una gravissima crisi umanitaria, con gli ospedali al collasso e le città che dopo gli scontri lasciano i segni di morte, massacri e distruzione. Mentre nella capitale Kinshasa i congolesi bruciano le bandiere e i ritratti del presidente del Ruanda, accusandolo di sostenere i ribelli, Paul Kagame continua a sostenere l’estraneità di Kigali rispetto ai disordini: “Questi combattimenti vicino al confine con il Ruanda continuano a rappresentare una seria minaccia per la sicurezza e l’integrità territoriale del Ruanda e richiedono una posizione difensiva sostenuta da parte del Ruanda”, ha dichiarato domenica con una nota il ministero degli Esteri ruandese.
I fatti dimostrano però il contrario, il conflitto non rappresenta affatto una minaccia per il Ruanda. Per quanto riguarda le risorse minerarie, un rapporto dell’Onu di dicembre dimostra come l’M23 invii circa 120 tonnellate di coltan in Ruanda ogni quattro settimane. Grazie alle immagini satellitari, è stato possibile notare come a settembre sia stata ampliata una strada sul lato congolese del valico di frontiera di Kibumba per consentire l’accesso ai camion pesanti che in precedenza non potevano utilizzare la strada per il Ruanda. Grazie a testimonianze dirette, si stima che nella Repubblica democratica del Congo siano presenti tra 3.000 e 4.000 soldati dell’esercito ruandese, conferma che arriva dagli stessi militari dell’M23 catturati: i ruandesi sono una “friendly force”, hanno detto, sono sul territorio per addestrare e supportare i ribelli. Per le intelligence e gli osservatori internazionali non c’è dubbio che l’avanzata su Goma ma anche la devastazione, le violenze e le esecuzioni sommarie non sarebbero state possibili senza il sostegno del Ruanda ai ribelli dell’M23.