Il congelamento degli aiuti internazionali di Trump s'è sentito fino alle prigioni dello Stato islamico in Siria
Il blocco dei fondi ha lasciato senza stipendio le guardie dei campi di detenzione dell’Isis, dove sono detenuti 9.500 combattenti e le loro famiglie. I rischi non calcolati delle decisioni ideologiche sulla sicurezza globale
Il primo ad accorgersi che il congelamento degli aiuti internazionali imposto dall’Amministrazione Trump per 90 giorni – e messo in discussione ieri dopo giorni di licenziamenti, confusione e interventi dei magistrati – ha effetti perversi sulla sicurezza internazionale, oltre che sulle questioni umanitarie, è stato Charles Lister, seguitissimo esperto di Siria. “Il congelamento degli aiuti voluto da Trump – ha scritto martedì su X – ha tagliato gli stipendi di molte guardie dei campi e delle prigioni in cui sono detenuti 9.500 combattenti dello Stato islamico e le loro famiglie, circa 40 mila tra donne e bambini nel nord della Siria. Molti non si sono presentati al lavoro”.
L’assenza dai posti di guardia è stata poi confermata a Politico da due fonti del dipartimento di stato, che si è messo subito in moto per far sì non solo che gli stipendi fossero sbloccati ma che si facesse un’analisi un pochino più dettagliata degli aiuti che è meglio mantenere. Non c’è bisogno di leggere le tante analisi su queste prigioni che circolano nei centri studi per sapere che di fatto questo è un esercito in divenire dello Stato islamico e che un’evasione da parte dei miliziani sarebbe una catastrofe per la Siria – dove ieri il nuovo leader, Ahmed al Sharaa, con un discorso alla nazione ha sciolto le milizie che non appartengono all’esercito regolare – e per tutta la regione. Mentre il dipartimento di stato faceva verifiche e domande, gli uomini delle Forze siriane democratiche, che sono curde, sono andate a fare quel che le guardie con lo stipendio tagliato non stavano facendo, cioè controllare i campi e le prigioni dello Stato islamico, mentre sempre Lister diceva che già da una settimana molte delle organizzazioni finanziate dagli Stati Uniti per la gestione di questi centri di detenzione avevano smesso di funzionare. L’esperto ha anche spiegato che i dipendenti dell’Agenzia per gli aiuti, l’UsAid, e del dipartimento di stato sono “spesso i primi e gli unici che interagiscono con i locali, e spesso è un’interazione positiva”. Come accade in quasi tutto quel che riguarda Donald Trump, l’elemento umano e umanitario non è una priorità, così non soltanto si sospendono gli aiuti che sono di fatto l’unica fonte di sopravvivenza di molte persone, ma si spezzano anche i legami di fiducia che si sono creati con chi questi aiuti li porta. “Non illudetevi – scrive Lister – i terroristi e i nemici dell’America avranno campo libero nei prossimi circa 85 giorni”, fino a quando cioè la revisione non sarà completata.
L’emergenza è per fortuna durata poco, non soltanto perché il dipartimento di stato in poche ore ha ripristinato gli stipendi dei civili che lavorano nei campi e nelle prigioni dei terroristi dello Stato islamico. Un giudice federale martedì sera aveva temporaneamente bloccato l’implementazione di questa misura, chiedendo tempo per chiarimenti fino al 3 febbraio, e altre corti a livello statale si stavano attivando per fare lo stesso. Ieri il documento che avviava il congelamento è stato revocato, ma più che l’evidente intento ideologico che colpisce anche i funzionari considerati ostili, ha pesato la confusione, come dimostra il caos nelle prigioni siriane. L’imperativo dell’efficienza, che ricorre in tutto quel che ha detto finora l’Amministrazione Trump, si scontra con la gestione pratica di fondi che, in buona parte del mondo, sono una questione di sopravvivenza.