In Francia sono tornate le sinistre irriconciliabili. La crepa tra il Ps e Lfi

Mauro Zanon

Le due formazioni più importanti del Nuovo fronte popolare, ovvero il dialogante partito socialista e la France insoumise  di Mélenchon sono in guerra totale. Accuse e veleni

E’ l’eterno ritorno delle “sinistre irriconciliabili”, scrivono i notisti politici a Parigi, riprendendo una formula resa celebre da Manuel Valls, ex capo del governo francese, oggi ministro dei Territori d’oltremare. Il Partito socialista (Ps), la formazione della sinistra riformista guidata da Olivier Faure, e la France insoumise, il partito della gauche radicale di Jean-Luc Mélenchon, sono in guerra totale dallo scorso 16 gennaio. Ossia da quando i socialisti hanno preferito la via del compromesso allo scontro frontale con l’esecutivo, rifiutandosi di appoggiare la mozione di sfiducia al primo ministro, François Bayrou, presentata da Lfi e votata congiuntamente da ecologisti e comunisti.

“Ci sentiamo traditi”, ha reagito Mélenchon subito dopo il voto, accusando il Ps di aver minato con la sua scelta le fondamenta del Nuovo fronte popolare (Nfp), la coalizione delle sinistre costruita nell’estate del 2024 in occasione delle legislative anticipate. “Quando Jean-Luc Mélenchon si comporta come si è comportato, insultando e sbraitando, come si può pensare che ci sarà un’unione?”, ha risposto su Rtl François Hollande, ex presidente della Repubblica francese e attuale deputato Ps, proiettandosi verso le presidenziali del 2027: “Ci saranno due candidature a sinistra: un candidato della sinistra radicale e un candidato della sinistra riformista”. La crepa, dunque, sembra insanabile tra le due formazioni più importanti di Nfp, tra un partito, il Ps, che tiene sotto sorveglianza l’esecutivo, difende con fermezza le sue posizioni, ma è aperto al dialogo, alla ricerca di un equilibrio, e un altro, Lfi, che porta avanti la sua strategia oltranazista e agita lo spettro di nuove mozioni di sfiducia. “Nfp non è un partito unico, ma una coalizione. E Mélenchon non è il capo”, ha detto Faure in un’intervista alla Dépêche. Poi ha invitato il fondatore di Lfi ad “argomentare, invece di minacciare”, giustificando con queste parole la decisione di non votare la censura lo scorso 16 gennaio: “Abbiamo fatto un’altra scelta, quella di negoziare col governo per evitare il peggio ai nostri concittadini”.

Accusato a lungo di essere “soumis aux Insoumis”, sottomesso ai diktat di Mélenchon, il primo segretario del Ps è riuscito a sbarazzarsi di questa etichetta e a riportare il suo partito al centro della scena politica francese. “E’ il momento Faure”, ha scritto l’Opinion, raccontando la sua metamorfosi. Il socialista, tuttavia, dovrà ora fare i conti con l’ego ingombrante di François Hollande. Che sta preparando le sue truppe in vista del prossimo congresso Ps, previsto entro la fine dell’anno, e parla con molto interesse delle presidenziali del 2027. La vittoria, fra due anni, non avverrà “con la sinistra incarnata da Jean-Luc Mélenchon”, ma “con una sinistra che propone, che lavora, che fa dei compromessi”, ha affermato Hollande, sottolineando che il Ps avrà un ruolo “chiave”. Secondo Laurent Baumel, deputato socialista vicino alle posizioni di Faure, le dichiarazioni di Hollande sono “un atto di affermazione e un tentativo appena celato di rivendicare una sorta di leadership della famiglia socialista”. Ma per la nouvelle vague del Ps, i trentenni/quarantenni che cercano di dare nuova linfa al partito fondato da Mitterrand, il ritorno di Hollande al centro dei giochi ha i contorni di un incubo, è l’emblema di una sinistra ancora bloccata nel Ventesimo secolo.

“Non accetto che François Hollande pretenda ancora di dettare la strategia dei socialisti”, ha deplorato Chloé Ridel, eurodeputata e portavoce del Ps. Ridel è una fedelissima di Oliver Faure. Come Alexandre Ouizille, senatore socialista dell’Oise, Sarah Kerriche, consigliere regionale nel dipartimento degli Hauts-de-France, e Emma Rafowicz, presidente dei Giovani socialisti, una nuova generazione di socialisti che scalpita per mandare in pensione i vecchi elefanti. “Dal 2018, questa giovane generazione ha rimesso in sella un Partito socialista che era stato distrutto dal quinquennio di Hollande. Non vogliono che nessuno pesti loro i piedi”, ha spiegato al Monde l’ex presidente del Consiglio nazionale del Ps, Luc Broussy, vicino a Faure. Sullo sfondo, Raphaël Glucksmann, la speranza della social-democrazia francese, osserva con discrezione i movimenti dei socialisti, prepara il congresso del suo partito, Place Publique, e fa una promessa agli elettori: “Non lavoreremo più con Mélenchon”.

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