C'è accordo e accordo

Cosa hanno in comune il piano di pace di Kyiv e quello di Mosca?

Micol Flammini

Sono a lungo termine, ma mentre quello ucraino è pensato per evitare una futura invasione, quello russo è per agevolarla. Il fattore Trump

La parola “accordo” si gira e si rigira nelle orecchie e nella testa dei russi, anche se dal Cremlino non arrivano segnali che lascino pensare che il presidente russo, Vladimir Putin, stia preparando un piano serio per un negoziato. La guerra contro l’Ucraina va avanti, l’esercito russo continua a rosicchiare territorio senza preoccuparsi dell’alto numero di soldati morti.  Ora la macchina dell’arruolamento russa potrebbe anche essere avvantaggiata dal chiacchiericcio attorno all’accordo, che si è alimentato dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente americano aveva promesso di inaugurare il suo mandato costringendo Mosca e Kyiv a firmare un accordo in ventiquattro ore. Poi i tempi si sono estesi a sei mesi, ma la fine della guerra dopo l’arrivo di  Trump continua a sembrare più probabile. 

 

L’effetto Trump ha avuto un esito inaspettato:  soprattutto nelle prigioni russe, come ha notato il servizio russo della Bbc, sono aumentate le domande di arruolamento. Secondo la ong Russia dietro le sbarre, anche i detenuti che finora non avevano accettato di firmare un contratto con l’esercito pur di avere l’occasione di tornare in libertà, hanno manifestato la volontà di andare in guerra. Non è per patriottismo, spiega l’organizzazione, ma  perché credono che non arriveranno mai al fronte e i negoziati si concluderanno prima della fine del loro addestramento.  In realtà non ci sono segnali concreti che lascino pensare a una soluzione rapida e lo stesso Trump ha fatto un passo indietro riguardo alla velocità con cui poter imporre un cessate il fuoco. Vladimir Putin ha già illustrato il suo piano e prevede che la Russia tenga il territorio ucraino che  già occupa più le intere regioni di Kherson e Zaporizhzhia; che Kyiv riduca drasticamente il numero dei suoi soldati  a favore di   una progressiva demilitarizzazione; che non venga mai preso in considerazione l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Le condizioni poste da Putin sono il disegno per  una futura invasione da parte della Russia che con questi presupposti si troverebbe avvantaggiata da un’Ucraina disarmata e potrebbe affondare il suo esercito dentro al territorio di Kyiv  e proseguire fino ai confini dell’Ue. 

 

Hanna Hopko, ex capo della Commissione esteri al Parlamento ucraino e tra le fondatrici dell’International center for ukrainian victory (Icuv), viaggia  tra le capitali europee e gli Stati Uniti per promuovere la campagna “Make Russia pay”, volta a usare gli asset russi congelati per finanziare la difesa ucraina. Tutte le barriere legali che secondo diversi esperti avrebbero reso impossibile l’utilizzo dei fondi russi hanno iniziato a sparire, quello che sembrava invalicabile è diventato possibile, e adesso Hopko, oltre a insistere su quanto i soldi di Mosca siano una grande opportunità per aiutare Kyiv, sta concentrando la sua campagna sulla promozione di un piano per una pace vera. “La guerra contro l’Ucraina non è una questione di territorio.  I piani del Cremlino sono a lungo termine”. Hopko ammette che i russi sanno essere degli ottimi negoziatori, cercano di concludere accordi tenendo in mente un disegno che spesso sfugge al loro interlocutore – nell’anno in cui  ricorrono gli ottant’anni dalla Conferenza di Yalta, ricordare come funziona il modo di negoziare russo  non potrebbe essere più opportuno. Secondo un sondaggio dello New Europe Center, il 64 per cento degli ucraini crede che Kyiv  non dovrebbe accettare nessun negoziato che non contenga delle  garanzie di sicurezza, e Hopko spiega che è necessario cambiare l’approccio: “Le garanzie di sicurezza non sono  l’obiettivo del negoziato, ma la precondizione”. Le garanzie vanno divise in tre fasi, in quella di guerra, quindi nella fase in cui siamo ora, l’idea di Kyiv è ottenere l’invito alla Nato, lo spiegamento di una missione di alleati in Ucraina, investimenti nella difesa, nuovi accordi di sicurezza bilaterali. Durante la tregua, il livello delle garanzie cambia: spiegamento di unità militari lungo le linee amministrative; accordi  con potenze nucleari; introduzione di uno scudo antiaereo;  investimenti in difesa. Nella fase del  cessate il fuoco stabile, secondo il piano dovrebbero iniziare i colloqui con la Nato. I piani di Kyiv e  di Mosca non sono conciliabili, Kyiv ne ha formulato uno per evitare una nuova invasione, Mosca per agevolarla. I russi che hanno accettato di arruolarsi nella speranza di un accordo rapido, si troveranno, probabilmente, al fronte prima che il negoziato inizi. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)