America del sud
Dopo la guerra delle 6 ore con Trump, la presidenza colombiana è in palio
In Colombia gli ex presidenti patrocinano candidati per sostituire il fallimentare Gustavo Petro. Tra la trentina di nomi che circolano, c'è un nutrito “pacchetto” centrista
“La guerra delle sei ore”: è stata battezzata così la crisi diplomatica che c’è stata il 26 gennaio, quando il presidente colombiano Gustavo Petro ha prima rifiutato il rimpatrio di 160 migranti colombiani irregolari disposto da Donald Trump su due aerei americani, rispondendo su X con un commento durissimo e minacciando dazi del 25 e 50 per cento in ritorsione alle analoghe misure decise dal presidente americano come rappresaglia; ma è poi tornato sui suoi passi, con la sola concessione che il viaggio fosse fatto su aerei colombiani. Un secondo ripensamento, visto che in effetti aveva in un primo momento dato il suo assenso all’arrivo, salvo poi negarlo nel vedere che i migranti erano “trattati come criminali”, in manette. “I leader latinoamericani imparano a trattare con Trump. Petro ha mostrato come non farlo”, ha detto sprezzante un commentatore della Cnn. L’8 gennaio, Petro aveva anche preso posizione su Nicolás Maduro, dicendo che non avrebbe partecipato all’insediamento del presidente venezuelano visto che “le ultime elezioni in Venezuela non sono state libere”.
Insulti a parte, il governo di Caracas ha risposto fomentando, otto giorni dopo, l’offensiva dei guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), che per il controllo della zona di produzione di coca del Catatumbo si sono affrontati con l’altra guerriglia, il Fronte 33 delle dissidenze delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc): 120 morti e 50 mila sfollati. Dopo altri otto giorni Petro si è pure lì dovuto umiliare a mandare il suo ministro della Difesa, Iván Velásquez, in Venezuela, a implorare il collega Vladimir Padrino López.
Dopo lo scontro con Trump la popolarità di Petro è risalita di sette punti – quella di Trump di cinque. Sull’onda di ciò, il giorno dopo il presidente colombiano ha scritto su X che, se si fosse ricandidato, sarebbe stato rieletto. Secondo la maggior parte delle rilevazioni resta però uno dei presidenti più impopolari del Sud America, superiore solo al boliviano Arce, al venezuelano Maduro e alla peruviana Dina Boluarte (in testa è l’argentino Javier Milei). Comunque Petro è senza maggioranza in Congresso, la sua coalizione di sinistra è subito affondata al primo turno amministrativo e non è riuscito a far approvare una sola delle riforme proposte. Non ha dunque manifestato intenzione di ricandidarsi, e il miglior piazzato tra i possibili nomi della sua coalizione sta poco sotto al sette per cento nelle intenzioni di voto: è Gustavo Bolívar, autore del romanzo da cui è stata tratta la popolare telenovela “Sin tetas no hay paraíso”, e attuale direttore generale del dipartimento per la Prosperità sociale. L’ex sindaco di Medellín, Daniel Quintero, e la ex vicepresidente del Senato, María José Pizarro, stanno tra il 4 e il 5.
Proprio perché la presidenza appare in palio, le candidature si moltiplicano. Tra la trentina di nomi che circolano, nutrito è un “pacchetto” centrista: Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellín ed ex governatore di Antioquia, quarto con il 4,18 per cento nel 2022, starebbe ora quasi al 12; Claudia López, ex sindaco di Bogotá, attorno al sette; Juan Manuel Galán, leader del partito Nuevo liberalismo e figlio di quel Luis Carlos Galán che sarebbe diventato presidente se non fosse stato assassinato durante la campagna elettorale del 1989, attorno all’otto. Anche il padre della Pizarro, ex leader guerrigliero, fu candidato presidenziale assassinato nel 1989.
A destra l’ex vicepresidente Germán Vargas Lleras, leader del partito Cambio Radical, starebbe sul sei; Miguel Uribe Turbay, nipote di un presidente e fortemente sponsorizzato dall’ex-presidente Álvaro Uribe Vélez, attorno al sette; María Fernanda Cabal, effervescente senatrice esponente dello stesso partito di Uribe e considerata vicina a Trump e Bolsonaro, tra il cinque e il sei. In questa frammentazione, la candidata per ora in testa, sia pure sotto al 13 per cento, è Vicky Dávila: un’aggressiva giornalista già direttrice della rivista Semana. Esponente di un Movimento libertario collegato all’omonimo partito di Milei, ne emula lo stile, e ne potrebbe anche ripetere l’exploit.
Forse per fronteggiarla è stata tirata ora fuori l’idea di candidare Miguel Abraham Polo Polo, un deputato 29enne popolarissimo influencer arrivato al Congresso a colpi di podcast, e che potrebbe essere a sua volta un Milei colombiano, ma in contatto con il centrodestra tradizionale. Una serie di incontri sono in corso tra lui, Uribe e la Cabal per perfezionare lo schema.
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