A buenos aires

Il discorso contro i gay di Milei sposta la protesta sui diritti civili

Luciano Capone

Dopo che a Davos il presidente dell'Argentina ha accostato l'omosessualità alla pedofilia le opposizioni scendono in piazza. Con l'economia che va bene, ora lo scontro si sposta sulla "battaglia culturale"

Se fino a qualche mese fa si protestava contro le politiche economiche di Javier Milei, ora lo si fa contro la sua agenda sui diritti civili. D’altronde questa fa parte a pieno titolo di quella che il presidente dell’Argentina chiama “battaglia culturale”. Oggi a Buenos Aires, e nelle altre città del paese, è prevista una “Marcia di orgoglio antifascista e antirazzista” in reazione al discorso che Milei ha tenuto al Forum economico di Davos, con il quale si è scagliato contro “il virus mentale dell’ideologia woke” definita come il “cancro” della società. 

Nel suo intervento, molto duro, Milei ha denunciato l’ideologia di genere, il femminismo e l’immigrazione di massa. Due le parti del discorso che hanno suscitato dure reazioni e critiche di omofobia e maschilismo. Quando Milei ha definito il “femminicidio” come una sorta di privilegio da abolire, perché giuridicamente punisce l’uccisione di una donna con una pena più grave rispetto a quella di un uomo. E l’altra quando ha accostato l’omosessualità alla pedofilia, indicando come emblematico dell’agenda Lgbt il caso di due omosessuali condannati a 100 anni di carcere per aver abusato e filmato i figli adottivi.

Dalle parti della maggioranza c’è chi ha immediatamente rilanciato, come il ministro della Giustizia, Mariano Cúneo Libarona, che ha proposto l’eliminazione della “figura del femminicidio” dal Codice penale, ovvero l’aggravante introdotta nel 2012 che punisce in misura maggiore gli omicidi per motivi di genere. Dall’altro lato, le uscite di Milei hanno messo in imbarazzo anche diversi settori liberali che lo sostengono. Anche perché, l’agenda anti woke di Milei – sia nei toni violenti sia negli argomenti radicali – somiglia molto a un estremismo woke di segno contrario. E, soprattutto, è in contraddizione con quello che da tempo Milei indica, usando le parole del suo maestro intellettuale Alberto Benegas Lynch, come la definizione del libertarismo: “Il rispetto illimitato del progetto di vita degli altri, basato sul principio di non aggressione, in difesa del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà”. C’è ben poco di libertario nell’attaccare il “progetto di vita” dei transessuali o degli omosessuali, accostandoli ai pedofili. Anche perché sarebbe fin troppo facile fare un discorso analogo con altri gruppi sociali in cui, ovviamente, non mancano abusatori: eterosessuali, famiglie tradizionali, partiti politici, chiese, etc.

In ogni caso, il discorso di Milei è riuscito a riunire in questa forma di protesta diversi settori politici tra loro molto divisi: la sinistra radicale, la sinistra peronista, il centro radicale e anche settori del Pro, il partito di centrodestra moderato. La “Marcia di orgoglio antifascista e antirazzista” riuscirà quindi a portare in piazza molti argentini, dopo il fallimento degli scioperi e delle mobilitazioni sui temi economici e sociali. All’inizio del mandato del presidente libertario, infatti, si temeva che i blocchi stradali dei piqueteros avrebbero paralizzato le città e l’azione politica del governo. Si pensava che gli scioperi dei sindacati e le proteste di piazza dei pensionati avrebbero fatto deragliare l’imponente piano di aggiustamento fiscale per azzerare il deficit pubblico, da 5 punti di pil, che ha tagliato la spesa pubblica di circa il 30%.

E invece no. I piqueteros sono scomparsi, anche perché il governo ha eliminato i fondi pubblici che attraverso queste organizzazioni taglieggiavano e mobilitavano i poveri. Gli scioperi contro la politica economica si sono schiantati contro i veti presidenziali e l’irremovibile volontà di mantenere il “deficit zero”. Ma, soprattutto, l’iniziativa politica delle opposizioni e le proteste sociali sono state spente dall’onda dei successi economici. Il governo prima ha evitato l’iperinflazione, verso cui era diretto il paese, facendo crollare il tasso d’inflazione dal 25% al mese a circa il 2% in un anno. Poi è riuscito a ridurre notevolmente la povertà, che era esplosa a causa dell’inflazione, sotto ai livelli a cui era arrivata con il governo precedente. Infine, ha fatto ripartire l’economia argentina con tassi di crescita notevoli: secondo le proiezioni del Fmi e di Jp Morgan, nel 2025 il pil dell’Argentina crescerà tra il 5% e il 5,5%.

È una delle ragioni per cui la protesta si è spostata dal terreno dei diritti sociali a quella dei diritti civili. Anche con una certa dose di opportunismo da parte dei vari movimenti femministi e Lgbt che hanno fatto parte integrante del kirchnerismo al governo negli anni passati in Argentina. Diversi scandali di violenza di genere sono accaduti in pochi mesi. Il presidente della Repubblica uscente, Alberto Fernández, è a processo per violenze e percosse sulla sua compagna, che lo accusa anche di averla in passato indotta ad abortire. Un altro pezzo grosso del peronismo come José Alperovich, senatore e governatore di Tucumán, è stato condannato a 16 anni di carcere per violenze sessuali su sua nipote. Mentre Fernando Espinoza, uomo forte del peronismo a Buenos Aires, è a processo per abusi sessuali sull’ex segretaria. Tutto questo è accaduto nell’ultimo anno, e non c’è stata nessuna marcia contro le violenze sulle donne. Sono state, invece, più che sufficienti le parole sgradevoli e offensive di Milei.

In ogni caso, nonostante la posizione di Milei e la chiusura del ministero delle Donne e altri enti femministi, non sembra esserci un peggioramento sul fronte della violenza di genere. Anzi. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio sui Femminicidi della Defensoría del Pueblo, da gennaio a novembre 2024 i femminicidi in Argentina sono stati 252, nel 2023 sotto il governo peronista avevano raggiunto il record di 282. Anche allora, nessuna protesta. La riduzione dei femminicidi va inserita in un trend generale di calo degli omicidi (-11,5%), che probabilmente è il frutto della politica di sicurezza che aveva l’obiettivo di ridurre l’esplosione di violenza nelle città prede dei narcos come Rosario.

 

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali