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Piano Cisgiordania

Perché gli Accordi di Abramo non hanno futuro se Hamas trionfa a Jenin e Tulkarem

Fiammetta Martegani

L’operazione Muro di ferro serve a evitare lo strapotere dei terroristi. Fra propaganda mediatica e problemi di lungo periodo. Risultati

Tel Aviv. Lo scorso 19 gennaio entrava in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, due giorni dopo l’esercito israeliano dava inizio alla cosiddetta operazione Muro di ferro: la più intensa attività antiterrorismo effettuata in Cisgiordania dall’ottobre 2023. Uno dei risultati più significativi ottenuti fino a oggi è l’eliminazione di Ihab Abu Atiwi, comandante di Hamas a Tulkarem. Stando al portavoce dell’esercito israeliano, il nascondiglio di Atiwi è stato scoperto quando è uscito per accogliere i terroristi palestinesi rilasciati dalle carceri israeliane, come previsto dell’accordo per riportare a casa gli ostaggi israeliani. Abbiamo discusso dell’impatto della liberazione dei detenuti assieme a Shaul Bartal, ex tenente colonnello che ha prestato servizio in Cisgiordania

Oggi Bartal è docente presso il Centro Begin-Sadat dell’Università Bar-Ilan. Secondo l’analista, il rilascio dei terroristi – molti dei quali condannati all’ergastolo – è stato percepito dalla maggior parte dei palestinesi come una vittoria di Hamas nei confronti di Israele. Tuttavia, sottolinea Bartal, questo fa parte della propaganda mediatica del gruppo terroristico, specie per guadagnare il terreno politico che presto potrebbe andare a vantaggio dell’Autorità palestinese, come previsto dalla cornice presentata per l’implementazione degli accordi di Abramo. Per poterli mandare avanti, l’Arabia Saudita chiede che venga riconosciuto uno stato palestinese, si scontra con le tensioni in aumento in Cisgiordania, soprattutto nelle zone di Jenin e Tulkarem. Eppure, sostiene Bartal, ripulire questi luoghi dalle cellule terroristiche risulta la conditio sine qua non per garantire al popolo palestinese un’amministrazione – tutelata da supervisori sauditi – guidata dell’Autorità palestinese e affiancata dall’Idf: “Se questo modello, che già funziona nell’area B, riuscisse a essere esportato anche nell’area A e Gaza – dove Hamas verrebbe sostituito da un’amministrazione locale – ci sarebbero le condizioni necessarie per la realizzazione di uno stato palestinese”.

Già gli accordi di Oslo, ricorda il professore, avevano spianato quella strada che, oggi, l’Amministrazione americana sta cercando di implementare: “Il problema principale sta nella visione di lungo periodo, del tutto assente nell’enclave, dove nei libri di scuola – a differenza di quelli israeliani – non si studia la stretta di mano tra Rabin e Arafat a Camp David”.

L’ex tenente spiega come Jenin, trovandosi nell’area A – ovvero la zona sotto il solo controllo dell’Autorità palestinese – sia una delle zone più difficili da gestire, a differenza dell’area B dove l’Autorità palestinese, affiancata dall’Idf, riesce a mantenere quella stabilità che ha permesso alla maggior parte della società palestinese di avviare uno sviluppo culturale ed economico. Stando ai sondaggi degli stessi media palestinesi, chi vive in Cisgiordania vorrebbe che questa stabilità venisse salvaguardata. Sia perché, de facto, è dagli accordi di Oslo che molti di loro vivono e lavorano fianco a fianco con gli israeliani; sia perché risulterebbe l’unica garanzia per avviare una normalizzazione della regione e, quindi, rilanciare il processo di pace.
 

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